Quanti tratti di umanità possono incidersi sul volto di un solo uomo? Tanti quanti la vita può ricamare a chi sceglie di viverla all’insegna dell’incontro; tante quante sono le strade che con una chitarra si possono tracciare, se la musica altro non è che lo strumento per urlare qualche verità in più sull’altro e su se stessi.

Sul volto di Alan Wurzburger si sono incise molte verità, segnate da passione e contraddizioni, sofferenze e speranze, senza che si slabbrassero mai nella forma del compromesso. Per coglierle, ad una ad una, senza lasciarsi ingannare dal primo volto di un racconto, bisognava stargli accanto, con pazienza e dedizione, con quella caparbietà di chi, citando una canzone di Alan, resta a guardare la luna, mentre fuori c’è un mondo che corre. Bisognava ritrovarsi insieme nell’attitudine a contrastare una società fagocitante.

Così, dopo un cammino di quattro anni al suo fianco, vissuto per raccontare, fino al suo ultimo giorno di vita, Luca Lanzano con un film leggero quanto commovente, è riuscito con il suo film “Alan, il racconto di un ignorante” a rivelarci quest’uomo nelle sue forme di spiazzante autenticità. 

Il documentario, il cui titolo fu richiesto dal cantautore stesso, è stato prodotto da Inbilico in collaborazione con Premio Fausto Rossano e con il contributo di SIAE e MIC nell’ambito del programma Per Chi Crea 2023 e sarà proiettato il 21 Marzo alle ore 21.00 durante la rassegna Astradoc.

Giovanni Wurzburger, detto Alan, è stato un cantautore e bluesman napoletano, che della musica non ha mai voluto fare mestiere. Dopo varie esperienze all’estero e i successi in Francia e dopo la lotta contro la tossicodipendenza da eroina, solo verso i quarant’anni decide di incidere il suo primo album “Alan Wurzburger“, (1994) al quale ne seguiranno altri tre (Spingole, 1997; Amour Amer, 2002; Mi fermo a guardare la luna, 2018). Nello stesso periodo investe nell’apertura di locali come Aret’ ‘a Palma e Buco Pertuso che hanno contribuito alla storia culturale di Napoli divenendo punti di ritrovo per musicisti, artisti e intellettuali.

La canzone d’autore ha sempre sofferto. Io mi sono aperto il mio locale, facevo 30 persone? Andava bene così, mi permetteva di continuare ad esistere. Eppure non penso di fare qualcosa di così lontano dal commerciale, che non abbia un ascolto fluido.” dichiara Alan in un dialogo ripreso nel film con Marcello Squillante, voce degli ARS Nova Napoli.

Ma una voce così graffiante, che al solo ascolto scuote e strazia, non può mentire a se stessa. Per di più se accompagnata da testi volutamente e incisivamente scomodi.

E sono proprio quei tratti della sua persona, così delicatamente rivelati nel documentario che ci predispongono ad un ascolto della sua musica che lascia poco spazio all’interpretazione.

Nun voglio murì senza capì, si int’ a sta galassia ce stongo sul’ij, voglio durmì, si voglio durmì, e voglio ca stu suonno nun me fa cchiù suffrì.

La musica di un ignorante, è la musica di uomo che ha esplorato la vita, distruggendo ogni forma di gabbia che potesse ostacolargliene la scoperta. Un’esistenza all’apparenza sregolata, ma accompagnata dalla profonda consapevolezza di un bisogno, o meglio da un’ostinazione: la libertà.

La libertà dal sistema economico, dalle dipendenze a costo di restarne schiacciato, la libertà dai vincoli relazionali, dallo sguardo dell’altro e la libertà nel guardare l’altro. La libertà di urlare tutto quello che ti attraversa, dal cuore alla testa, correndo il rischio che nessuno o forse in pochi, ti restino ad ascoltare.

La libertà nel vivere il proprio tempo e la libertà nel cambiamento, quella scoperta nella filosofia buddhista, come racconta nel film: “Sono sempre stato un pacifista, ma camminavo cu’ ‘o frustino pe’ ‘e cavalli int’ ‘a macchina. Dopo un mese che praticavo, ho pensato: ‘Ma c’aggia fa cu’ stu cos?’. E’ iniziato proprio a cambiare l’atteggiamento, nun è venuto nisciuno da fuori a dirmi: ‘Nun se fa chest, nun se jetta ‘a carta ‘nterra’. Non so se è chiaro, è nata proprio in me la voglia di cambiamento.”

Un’ostinata ricerca di libertà, che attraverso uno sguardo dedicato, ha riflessi dolorosi e irrisolti. Ci vuole coraggio, testardaggine o forse accettazione della propria natura a camminare in direzioni contrarie al mondo e anche a chi ci ama, forse solo per lasciare spazio al bambino che si ha dentro.

Il racconto di quest’uomo così ignorante rispetto a qualsiasi forma di etichetta e di potere, è un film che ci insegna a sospendere ogni giudizio e lasciare che nel cuore ci entri la sua vulnerabilità, che assomiglia un po’ a quella di tutti. Un film che ci spinge ad avere uno sguardo indulgente verso le fragilità e le contraddizioni che ci appartengono. D’altro canto lo ha affermato il regista stesso durante la prima del 28 Novembre 2024 al Teatro Nuovo “C’è un po’ di Alan in ognuno di noi“.

Forse perchè la coerenza più grande consiste nel non rinunciare mai a qualche pezzo di verità, dentro noi stessi, alle nostre voci più profonde, costruttive o distruttive che siano. Rivendicare i propri demoni e le proprie tenerezze, senza sbiadire mai nella richiesta, nella pressione di essere altro, ma senza mai aver paura di scoprire l’altro che è in noi.

E in tutto questo percorso tumultuoso, nella scelta feroce di essere autentici, basta che, come Alan insegna, ci portiamo dentro sempre un po’ di speranza.

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