Non sono depressa, la mia vita non è stata travolta da un evento tragico di recente, eppure ho pensato al suicidio.Lavoro su me stessa da anni, conosco la forma delle mie fragilità e le affronto da tempo, eppure ho pensato al suicidio. È stato un attimo, fermo e violento. Un impulso.

Il paradosso dell’ impulso é che nell’attimo in cui lo provi sembra quasi la strada giusta, razionale, la risposta che combacia perfettamente con la tua esigenze.

Ho una bella vita, nel senso che la vivo a pieno, nel senso che non mi manca nulla, non mi mancano quelle cose che normalmente, nel quotidiano, creano problemi alle persone. Non mi mancano le comodità, non mi manca l’amore. Ho una bella famiglia e sono circondata da amici. Ho una vita ricca, piena di soddisfazioni emotive. Eppure ho pensato al suicidio.

Ho sbattuto la testa contro il muro con le lacrime agli occhi e ho pensato “okay adesso faccio finire tutto”. E quando l’ho pensato, subito dopo ho avuto la lucidità di capire che c’era qualcosa che non andava, ma era fuori, non in me stessa.

Ho una laurea, ne ho due. Ho un master. Sono una ragazza sveglia, dinamica. Ho la risposta pronta. Ho fatto studi difficili per le mie predisposizioni naturali, ma volevo stare al mondo, volevo anche trovare un lavoro. Negli anni li ho arricchiti di esperienze in settori affini. Ho fatto molto volontariato, ho sempre investito tanto su me stessa e sulle mie esperienze. Ho le idee molto chiare, so dove voglio stare e so come voglio starci. Non mi sono mai avvicinata ad ambienti di lavoro dove non potessi trovare quelle dimensioni alle quali non avrei voluto offrire le mie competenze. Perché il lavoro si offre, non ti viene concesso.

Attualmente tutte le mattine vado a lavorare in ufficio dove si innervosiscono se al posto di uno slash inserisco un trattino registrando una fattura, o se al posto di “buongiorno” io rispondo al telefono “salve”. È un lavoro lontano da me, un lavoro metodico, non ci sono stimoli, non imparo nulla di nuovo e spesso sono talmente poche le cose che devo fare che faccio dilatare il tempo. Faccio questo lavoro perchè voglio avere un minimo di auotonomia, perché ai tempi nostri trovare un part-time che non sia uno sfruttamento è un miracolo. E in questo i miei datori sono corretti: non un minuto di meno, ma nemmeno mi chiedono un minuto di più. Chiaro, se glielo do, se lo prendono.

Così mentre mi barcameno tra le briciole della mia autonomia, cerco altro. Cerco un lavoro in linea con i miei studi, con le mie aspirazioni e con il mio percorso. Il terzo settore, ad esempio, è quello che mi interessa. Ho accumulato diverse esperienze, in particolare per un’organizzazione. Ci ho lavorato ben tre volte negli anni, ne ho scritto e l’ho sostenuta attraverso i miei canali social.

È importante, dicono, che il candidato ne condivida la missione. È importante dicono, che il candidato conosca bene il lavoro dell’organizzazione. É importante dicono che il candidato abbia già accumulato delle esperienze.

Ed io mi sono impegnata. Mi sono impegnata mentre ci lavoravo e mi sono impegnata dopo, quando mi sono candidata per altre posizioni di lavoro che mi permettessero di addentrarmi maggiormente nell’organizzazione. Ho sostenuto delle prove, le ho superate. Mi sono impegnata anche in quei momenti, soprattutto in quei momenti, con la fame di chi deve mangiare e deve raggiungere l’unico posto in cui può farlo. Ero affamata di un lavoro che mi gratificasse, si. Le prove le ho superate, ho preso un treno che ovviamente mi sono pagata da sola e li ho raggiunti per “l’ultimo colloquio”.

Illustrazione a cura di Giorgia D’Emilio

Avete presente quando sentite che un appuntamento è andato alla grande? Era andata così. Tutto fluido, positivo. Gli sguardi, i commenti, le impressioni che percepivo nei loro sguardi, la sicurezza con cui mi ero espressa, tutto ciò che avevo esposto. La fermezza e la sincerità con cui avevo mostrato il mio interesse e la linearità del mio percorso. Mi era sembrato un confronto piu che un colloquio. Mi era sembrato un appuntamento che avrebbe avuto un seguito.

“Ci sentiamo a brevissimo” nei prossimi giorni, cosi mi hanno detto. Ci siamo salutati addirittura con uno scambio di baci sulle guance, perchè ci si conosce. Passa una settimana, dieci giorni e io non so nulla. Allora scrivo un messaggio a quello che ho salutato con i due baci. Mi risponde “max una settimana”. Passano altri dieci giorni. Mi chiama all’improvviso. “Cara, sei bravissima, fino all’ultimo ti avremmo voluto selezionare, ma abbiamo preso un’altra persona. Pero se mi permetti ti suggerisco per un’altra posizione.”

Si, vai. Accuso il colpo, ma vai. C’é il contentino, la posizione dura tre mesi, sarebbe dura lasciare il lavoro part-time ma mi permette di entrare nell’organizzazione e poi è in linea con le mie capacità piu forti, quelle comunicative.

Allora, si, vai. Facciamo il colloquio. Mi fingo disinteressata con me stessa, ma appena mi trovo davanti alla webcam a parlare per il colloquio, si riaccende l’interesse in me come un fuoco. E anche in questo caso tutto funziona, tutto é in linea. Sono sorpresi dalle mie esperienze, sono sorpresi dalla passione che ho verso le tematiche che tratto e il lavoro sembra perfettamente in linea, anche di piu del precedente, con le mie capacità. Sul momento azzarderei che mi stessero dicendo che mi avevano già presa. No, non ho la tendeza a distorcere la realtà. Credo che la mia terapeuta lo possa affermare con una certa sicurezza. Ti facciamo sapere entro il pomeriggio, tu sei disposta a cominciare venerdì di questa settimana? Si, io sono disposta.

Si fanno le 17, le 18, le 19, le 20. E nulla. Mando un messaggio “Mi confermate che l’esito del colloquio si saprà stasera?”Scusaciii, abbiamo avuto un imprevisto, ti chiamiamo domani a pranzo.  A pranzo rimandano. Alle 18 mi chiamano: “ti dico subito che non ti abbiamo presa, ma siamo rimasti davvero colpiti dalla tua tenacia, dal tuo curriculum, ci piacerebbe restare in contatto per il futuro.

Amo la vita si, l’amore contraddistingue le mie giornate. Lo vivo, lo cerco, lo alimento. Ma ho pensato al suicidio, è stato un attimo violento. Non sopportavo la mia frustrazione. L’idea di non avere quel lavoro, e poi un’ indipendenza definitiva, e poi una casa tutta mia. Sono una fallita, mi sono detta, perchè mi sono sentita una fallita. È stato un attimo e io l’ho sentita come verità – la verità è che sono una fallita.

Poi mi sono detta no. Si tratta di me che giorno dopo giorno investo le mie energie per costruire il mio posto nel mondo, che conosco i miei punti di forza, che lavoro sulle debolezze. Si tratta di me che mi lancio sempre a fare qualunque cosa per impararne, si tratta di me che da mesi porto avanti un lavoro che dovrebbe farmi sentire sminuita e lo faccio per tenacia, resisto, combatto, mi adeguo. Si tratta di me che so ascoltare gli altri e me stessa. Si tratta di me che in tutto ciò che faccio ci metto ciò che sono, senza mai risparmiarmi.

Si tratta di me e il problema questa volta non sono io, il problema è fuori

E voglio raccontare questa storia per chi non ha riconosciuto in tempo che il problema fosse fuori.

Write A Comment