Ho quest’immagine nella testa: noi tutti attorno a questi giocatori, che sono politici e anziché rincorrere un pallone, provano a mettere a segno una nuova manovra. Magari socialmente utile. E noi siamo lì a fare il tifo con l’adrenalina di chi non aspetta altro che vedere in porta un cambiamento. 

È l’effetto scudetto, una maratona per me di partite mai viste prima, che porta con sé allucinazioni e riflessioni. Che cosa può il calcio che la politica non possa, é un’incognita di pubblico interesse, mi chiedo se non sia un mistero che una volta svelato restituirebbe una dignità politica al nostro paese. 

Eppure c’é stata un’epoca in cui si scendeva in piazza a fare il tifo. Io non l’ho vissuta, ma Alessandro Scippa sì. Da bambino scendeva in piazza a muoveva le labbra per simulare Bandiera Rossa. L’ho fatto anche io con i cori del Napoli, volevo essere parte di qualcosa. Doveva essere bello sentirsi parte di qualcosa, è quello che trapela dal documentario di Scippa, La Giunta.

“L’ho girato per me, per la mia famiglia e per i figli di Valenzi, per noi, che eravamo bambini quando c’era la giunta.” mi ha confessato onestamente Alessandro, mentre io indagavo alla ricerca di significati universali.

In effetti è così. Il documentario ripercorre l’epoca che va dal 1975al 1983, gli anni in cui ci fu il primo sindaco comunista a Napoli, Maurizio Valenzi. É uno squarcio su un’epoca che ha colorato la nostra città di partecipazione politica, ma anche é uno squarcio sulle vite private delle persone che l’hanno vissuta e ne sono state protagoniste.

Dall’amministrazione del bilancio, di cui si occupava il padre di Alessandro, Antonio Scippa, una delle voci principali nel documentario, alla rigenerazione di Castel dell’Ovo e Castel Nuovo, alle varie manovre politiche, sociali ed economiche che furono messe in atto attraverso le testimonianze degli assessori che fecero parte della giunta Valenzi. Si rivivono gli anni delle donne che calavano i panieri per accogliere la propaganda, la lotta all’abusivismo edilizio e il risanamento igienico sanitario della città, il sostegno all’Italsider, il terremoto e la ricostruzione che avvenne successivamente.

È una politica che si tocca con mano. Si tocca nei ricordi e negli sguardi trasmessi alla telecamera, nell’emozione svelata senza alcun pudore dell’esserci stati, dell’aver rincorso un sogno. 

Noi eravamo convinti che quell’onda di entusiasmo approdasse ad una nuova realtà di vita. Le masse, i giovani esprimevano questa voglia di cambiamento radicale. L’emozione ci trascinava nel fare le cose” è la testimonianza del fotografo Mimmo Jodice.

Ci si dava del tu, racconta il giornalista Marco Demarco. Lo ritiene un aspetto formale ma che permetteva di annullare ogni distinzione di classe, di età, di provenienza culturale generando una certa magia.

E poi c’erano le sedi del partito, di cui parla la madre di Alessandro, Floriana Mazzucca, descritti come luoghi di scambio in cui si cresceva culturalmente, si ascoltava in silenzio imparando dagli altri e piano piano si assorbivano i contenuti e si cresceva.

È una politica che si tocca nei ricordi, che diventano simboli. Come il primo regalo da fidanzati che il padre di Alessandro fece alla madre, un libro di Trosky su Marx. É il simbolo di una vita, che anche nei suoi aspetti più intimi e privati, come quelli amorosi, era intrisa di un amore collettivo.

Ed è con questa sovrapposizione di spazi, tra quelli più intimi di una casa, e quelli a cielo aperto di una piazza, che la politica riacquista una dimensione vitale“La nostra era una partecipazione di sangue, non di interesse” racconta ancora Mimmo Jodice. 

I simboli scelti nel documentario raccontano questo, riportano la politica ad una dimensione vicina, semplice perché identificabile in un oggetto, in un’esperienza, in una fotografia, in un canto. I simboli raccontano una partecipazione di sangue. È il sangue che quando fluisce ci rende vivi, ci muove, è il sangue che si piange, ma che ci rende uguali, appassionati, fragili. È il sangue che ci permette di riconoscerci.

Ne La Giunta la politica in fin dei conti sembra questo, sembra vita. La vita che la muove e la vita che ne è stata mossa. Movimenti da poter seguire, come quelli su un campo di calcio, da comprendere o da sostenere. Movimenti da ricordare, perché ogni movimento costruisce un pezzo della nostra storia, individuale e collettiva. 

Il passato di uno assomiglia a quello di tutti e viceversa. E le generazioni si incontrano nella potenza che ha l’atto di ripercorrere il passato, il proprio, quello altrui, o quello di un partito che oggi non esiste più. È nella storia che si trova la strada per guardare il futuro.

La domanda che il giovane più di tutti rivolge alla storia nasce dalla speranza, lo sguardo ansioso cerca di penetrare le nebbie del domani e di conoscere il suo posto nella vita è quello di chi si volta indietro per capire da dove viene.” É una citazione dal libro di Adriano Prosperi, Un tempo senza storia. Viene letta nel documentario dall’ex assessore Eugenio Dionise durante la chiacchierata con Alessandro.

Per capire da dove veniamo, andiamo al cinema oggi pomeriggio alle 17.30 alla Sala Verde del Giffoni a Salerno dove sarà proiettato il documentario, oppure domani ore 19.00 presso l’auditorium del MAV di Ercolano.

Per capire dove vogliamo andare, a me è bastata un’emozione, davanti allo schermo, mentre passavano le immagini di quelle piazze e nel documentario qualcuno intonava “avanti popolo, alla riscossa, bandiera rossa, trionferà.” Ho sentito la pelle d’oca percorrermi le gambe, le stesse che hanno saltato per ore la notte del 4 maggio quando il Napoli ha vinto lo scudetto e io, che non conoscevo neanche un coro, ho perso la voce.

Per capire dove vogliamo andare, avviciniamoci al campo e cominciamo a riscaldarci, a far circolare il sangue. Che sia per il tifo, o per muoverci in prima linea, facciamolo in modo semplice, partecipiamo emozionandoci

Per ascoltare direttamente le parole di Alessandro Scippa guarda l’ intervista

https://youtu.be/KWpV3mK-m9s

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