“Sono un ‘ragazzo di campagna’, perché faccio l’agricoltore” esordisce Claudio, che a quarantaquattro anni è stato colto dal Parkinson come da un terremoto, e guarda Ivana, che mi presenta come la metà del suo cuore. Ivana è la sua compagna di vita e di crescita negli anni in cui hanno imparato ad affrontare la condizione che lo ha colpito. All’epoca della diagnosi, i due avevano appena iniziato dei corsi serali di tango e nonostante la malattia sono stati determinati a continuare la vita di prima. Soltanto dopo hanno scoperto gli effetti benefici che il tango può sortire a livello neurologico, sia per la musica, sia per l’abbraccio con l’altro che questa danza richiede. Il tango diviene così strategia di resistenza, ballare insieme come modo di restare l’uno affianco all’altra nel momento del bisogno.

Tango della vita

Erica Liffredo, soggettista e regista,  ha dedicato dieci anni alla loro storia raccontandola nel documentario Tango della vita (Italia 2023, 76’), realizzato assieme alla regista Krista Burāne e prodotto da BB Film. Giovedi 30 ottobre è stato proiettato fuori concorso in occasione dell’XI edizione del Premio Fausto Rossano per il diritto alla salute, nella cornice dell’Ex Asilo Filangieri di Napoli.

Claudio e Ivana

Claudio è dal 2010 fondatore e presidente di La Parkimaca, associazione con sede a Tarantasca (CN), dedicata alla promozione e allo studio della tangoterapia, un approccio riabilitativo per i soggetti affetti dal morbo di Parkinson, che trovano nella pratica del tango, fatta di movimenti improvvisi e nell’ascolto del proprio partner uno strumento di controllo del corpo in equilibrio.[1]

La sorpresa per Claudio è stata accorgersi, un po’ alla volta, che in seguito alle lezioni di danza i suoi movimenti tornavano fluidi, il corpo riacquisiva leggerezza e sicurezza. «È stata una fatica spiegarlo ai medici» ammette divertito. In questi anni si è impegnato in prima persona tanto nella divulgazione e nella sensibilizzazione verso il morbo, quanto nella ricerca, offrendo il suo corpo ai centri specializzati che hanno iniziato a interessarsi al rapporto fra pratica coreutica e neurologia, dando personalmente dimostrazione dei benefici della tangoterapia in occasione di convegni scientifici.

Di questa esperienza del tutto innovativa nel campo terapeutico parla anche il film di Liffredo e Burāne: «Se per certi versi è stato dato il giusto spazio a tale aspetto scientifico e divulgativo, per me la storia che questo documentario voleva raccontare era essenzialmente l’amore di Ivana e Claudio.

E quando vediamo al centro dell’inquadratura la sagoma nera di Claudio, che fende la sala da ballo coperto dalle imbracature del Motion Capture, lo guardiamo con gli occhi di Ivana, che sembra guidare i suoi movimenti.

Corpo a corpo 

La prima parola utilizzata da Ivana Revelli per parlare del tango è abbraccio. È impossibile non confrontarsi col proprio partner, ascoltare e capire, concentrarsi per intuire quello che arriverà ascoltando il movimento e il corpo del ballerino che ci accompagna senza imporre la propria forza, e senza farsi sovrastare.

Ne parlano come se fosse divenuto il loro stile di vita, la grammatica della lotta contro una condizione invalidante.

Il documentario racconta perfettamente questo intreccio: «Con la produzione abbiamo passato mesi a casa di Claudio e di Ivana che ci hanno permesso di entrare nella loro vita, nelle loro stanze, e di esserci nei loro momenti più personali, anche delle difficoltà. Siamo stati molto tempo a contatto con gli ambienti della scuola di danza, dove le moltissime persone affette dalla stessa condizione di Claudio praticano la tangoterapia ogni settimana e ci hanno consentito di riprenderli, mettendosi anche loro a nudo” racconta Erica Liffredo. 

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che può portare, nelle fasi più gravi, perfino alla perdita della voce, se non viene intercettata e contenuta con la giusta terapia.

«Il tango di Claudio e Ivana è diverso. I partecipanti arrivano con fatica, ma poi – la voce rivive – tutti ballano. Ognuno si è lasciato raccontare.»

Tango per la vita, pur mantenendosi concentrato sull’esperienza dei protagonisti, riesce ad essere un’opera dall’impronta fortemente corale. Gli intermezzi fra un capitolo e l’altro, i primi piani sul tango di Ivana e Claudio si sciolgono in campi lunghi e quadri che descrivono con delicatezza il mondo attorno alla coppia, fatto di ballerini che si affrettano a entrare in sala, talora si rimbeccano e poi si accompagnano a ritmo di musica.

Opera a più voci

Due registe, una storia d’amore, uno scambio di lettere. Sembra che nessuno, e nessun elemento di questo documentario sia destinato a presentarsi da solo, e che ogni voce si accompagni ad un’altra quasi per una spontanea pulsione.

Chiude così il documentario la corrispondenza fra Claudio e il compositore lituano Arturs Maskats, autore del primo brano di tango al mondo pensato per un’orchestra sinfonica. Ce lo racconta la regista: «L’incontro, personale e artistico fra Maskats e Claudio è sembrato una cosa naturale. Quando Arturs è entrato nelle loro vite, assistendo personalmente le lezioni di tango in Italia, ha amplificato la prospettiva creativa e poetica dell’esperienza di questo documentario: “Cosa vi serve perché riusciate a ballare con la mia musica?” chiedeva spesso, nelle lunghe serate passate a Cuneo in compagnia dei coniugi».

La colonna sonora composta da Arturs Maskats accompagna con sincerità e passione il movimento di Claudio e di Ivana, quasi lasciandosi condurre da loro verso un finale che riesce a lasciare col fiato sospeso, ma che non ha niente di conclusivo.

Tango per la vita è un documentario che non pretende di fornire una formula-modello per affrontare la malattia, né di raccontare la storia di un matrimonio resiliente oltre ogni difficoltà. Al contrario, l’occhio della macchina da presa cerca di suggerire con sincerità e rispetto le ombre che una malattia neurodegenerativa può proiettare all’improvviso su una famiglia. Ma non è nemmeno di questo che qui si parla: il cuore del documentario, in definitiva, sono i legami affettivi e le occasioni di realizzare se stessi che possono nascere da un incontro creativo, dall’ostinazione, o semplicemente dall’atto di prendersi per mano e camminare insieme.

Un film delicato che insegna ad accarezzare la fragilità, a trasformarla in risorsa per se stessi e per gli altri e che rientra perfettamente nella cornice di un festival che nasce per promuovere la cura della persona e la della dignità umana.

Il festival durerà dal 5 al 9 novembre. Scopri il programma qui

[1] G. M. Earhart, Dance as therapy for Individuals with Parkinson Disease, «European journal of physical and rehabilitation medicine» 45 (2), 2009, pp. 231–238: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/19532110/.

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