Il seme di senape, racconta una parabola del Nuovo Testamento, è piccolo come la punta di uno spillo. Ma una volta piantato, diventa un albero così grande da dare casa anche agli uccelli.

Il seme che ha piantato Massimo Punzo si chiama Remade, la sua missione per portare lavoro, sviluppo e innovazione nel Rione Sanità.

scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile

Nato e cresciuto a Vico Palma, Massimo ha raccolto tutti gli insegnamenti che il quartiere potesse offrirgli, senza limiti predefiniti per discernere un’esperienza buona da una cattiva.

Ho provato tutto ciò che si potesse provare in un contesto come questo e ho imparato tanto.” E’ un lungo caffè a cuore aperto quello in cui si racconta, senza risparmiarsi nel mostrare le luci e le ombre che hanno caratterizzato la sua vita.

scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella

Fortemente indipendente fin da ragazzino, lascia presto la scuola per tuffarsi a capofitto nel mondo del lavoro, con grandi capacità pratiche e costante voglia di evolvere.

Potendo toccare con mano scelte e destini di vite troppo spesso consumate e risucchiate dal contesto, Massimo dalle sue esperienze ha imparato soprattutto a rubare. Ha preso con avidità tutto quello che potesse servirgli per costruire un futuro diverso

Investe quasi tutti i suoi anni formandosi nel settore delle calzature, per avvicinarsi poi al mondo del computer. Senza particolari conoscenze o competenze, da autodidatta, trascorrendo ore intere nel piccolo laboratorio difronte all’abitazione della sua infanzia, diventa un tecnico.

“Non ho cultura, né studi alle spalle” così racconta, “mi risulta difficile da spiegare ma credo che la mia spiritualità, la mia fede, mi abbiano predisposto alla conoscenza. E’ come se si fosse installato in me il giusto software per decifrare nozioni e mettere mano a tutto ciò che piano piano riuscivo a comprendere.”

Non si fa fatica a credergli, anche perché oggi, mentre racconta i suoi percorsi, citando un principio di fisica o utilizzando i processi cellulari per fare delle metafore, sembra che la sua conoscenza abbia un sapore del tutto diverso da quella che si riscontra canonicamente.

scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella

Sembra che risponda ad un bisogno, ad una fame del cuore nata da quando Massimo ha riconosciuto nel sapere una forma di libertà, l’opportunità per condurre un’ esistenza generativa, volta alla restituzione.

“Le persone non vogliono delinquere, semplicemente non hanno alternative, non hanno gli strumenti per compiere scelte diverse” afferma più volte con convinzione.

Così tutto ciò che ha preso, Massimo ha scelto di restituirlo al suo territorio. L’esperienza decisiva l’ha avuta nelle Marche, quando si è ritrovato di fronte ad una filiera produttiva che processava la plastica del territorio, la granulava, la macinava e la trasformava in un filamento di pellet che permetteva di stampare tacchi e accessori.

Con le competenze accumulate nel tempo nel settore delle calzature e la capacità di recuperare i raee, i rifiuti delle apparecchiature elettroniche, Massimo si mette in testa di importare questo sistema di trasformazione dei materiali nel Rione Sanità.

Nel tempo ha proposto in vari ambiti associativi e politici l’idea per poter dare un impulso diverso all’artigianato del quartiere. E’ stato l’incontro con Raniero Madonna, ingegnere ambientale e attivista sul territorio, ad essere determinante.

scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella

Messi in contatto da Antonio Cesarano, il padre di Genny, vittima innocente di camorra, assassinato a seguito di una stesa che avvenne nel Rione Sanità nel 2015, Raniero aveva le competenze necessarie per incanalare l’intuizione di Massimo. Un primo sostegno ottenuto da Fondazione San Gennaro ha consentito di dare una forma embrionale al progetto.

Il modello realizzato da Massimo e Raniero, rispondeva a diverse esigenze, in primo luogo quella di recuperare pienamente lo scarto.

Una gestione localizzata, su piccola scala” spiega dettagliatamente Raniero “consente di valorizzare al massimo la risorsa, gestendo in un solo luogo tutte le fasi del trattamento.

scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella
scatto a cura di Giuseppe Carrella

I modelli di gestione centralizzata si basano invece sull’efficienza di processo, recuperando la parte più conveniente del rifiuto. Secondo le statistiche riportate da Corepla nel caso delle plastiche da imballaggio la percentuale di polimeri sottoposta a riciclo è solo il 43%.

A questa inefficienza si aggiungono le emissioni di CO2 legate al traporto, che rappresenta anche una fase estremamente rischiosa per la facilità con cui avviene l’infiltrazione dalla criminalità organizzata.

Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile

Il sistema messo a punto da Massimo e Raniero questi aspetti li prevedeva e li risolveva in partenza. L’anello mancante restava solo quello che potesse congiungerli al mercato, attraverso idee e consentissero di rendere lo scarto recuperato, un oggetto dal valore riconoscibile.

Nel 2020 sono Susanna Parlato e Iole Sarno a presentare la stesura di un progetto che al di là del riciclo prevedesse forme di design sperimentale al bando del Comune di Napoli “Quartieri dell’Innovazione”. Susanna è un’architetta, Iole è una designer con formazione internazionale in “Design for the Built Environment”, attualmente sono entrambe ricercatrici della Federico II. Dopo un periodo di accompagnamento per lo sviluppo dell’idea, vincono il finanziamento e si delinea definitivamente il team con Claudio Marcello, ingegnere meccanico, Andrea De Falco, amministratore e Guilherme Nicolau Adad, designer.

scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile

Si costituiscono come Associazione di promozione sociale e nasce Remade Lab Community, il primo laboratorio a Napoli che trasforma la plastica in oggettistica tramite la stampa 3D.

Uno piccolo spazio, presso le Catacombe di San Gennaro, dove avvengono tutte le fasi del processo di riciclo per la realizzazione del prodotto finale.

Scatto a cura di Giuseppe Carrella
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile

Il processo prevede che il materiale in plastica, raccolto nel Rione Sanità, dopo essere stato lavorato ritorni ad uno stato plasmabile, ad essere materia prima per una nuova lavorazione portata avanti tramite le tecniche del digital manufacturing.

Una sorta di artigianato digitale che prevede la progettazione dell’ oggetto con programmi di design e la sua realizzazione attraverso dei codici inviati dai computer alle macchine.

Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile

“Questa tipologia di produzione consente di raggiungere livelli molto complessi. Si può realizzare facilmente qualunque prodotto e personalizzarlo” spiega Iole, dichiarando anche che l’idea alla base è quella di andare contro i processi di produzione di massa e invece di favorire un’economia di scala, privilegiare un’economia di varietà.

Per il momento la varietà su cui si sta concentrando il team di Remade è quella culturale offerta da nostro territorio. Il design dei prodotti, attualmente venduti presso l’ingresso delle Catacombe, rievoca fortemente la nostra cultura, partendo dai vasi ispirati al Cimitero delle Fontanelle, alle Cornici che ricordano il Palazzo dello Spagnuolio, fino ai portasapone che riprendono nelle loro linee i crateri dei campi flegrei.

Scatto a cura di Kristel Pisani Massamormile
Scatto a cura di Giuseppe Carrella

E’ un modo profondo di riconoscersi” afferma Susanna “partire da uno scarto che proviene dal nostro territorio e trasformarlo fino a far si che ne rappresenti la bellezza. Si tratta di riconoscere il luogo in cui viviamo, ma anche le opportunità che nei suoi scarti, avendone cura, possiamo cogliere.”

Un percorso che necessita di educazione, come quella impartita con i laboratori condotti dal team con i giovanissimi del Rione per trasmettere pratiche e consapevolezze sull’importanza del riciclo e dei materiali, ma anche di nuovi processi di lavoro che coinvolgano le comunità nella loro interezza basati sulla co-produzione.

E’ un design innovativo e sperimentale, basato sulla partecipazione, quello che Remade sta portando avanti alimentando collaborazioni che congiungano le istanze del territorio alle tecniche innovative della ricerca universitaria.

I workshop, i laboratori e i progetti condotti con la Federico II si focalizzano sulla realizzazione di prodotti ibridi realizzati accogliendo la tradizione dell’artigianato e le competenze degli esperti del territorio e accompagnando i processi con le nuove tecnologie.

La prospettiva, come un seme che diventa albero che si espande e si dirama, è quella di raggiungere livelli di tecnologia ancora più avanzati per aumentare la quantità di plastica riciclati e contemporaneamente rendere il laboratorio replicabile in altri quartieri di Napoli creando micro centri per la gestione dei rifiuti.

Scatto a cura di Giuseppe Carrella

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