Per lavorare nel sociale a Napoli, bisogna sudare. Ma non si suda in virtù di una retribuzione degna del lavoro svolto, si fatica anche solo per poter realizzare e portare a termine un progetto. Capita, che al posto di un’attività del terzo settore, riconosciuta e funzionale allo sviluppo di realtà territoriali abbandonate a loro stesse, ci si ritrovi solo la forza d’animo e la buona volontà di chi lancia il proprio cuore oltre l’ostacolo pur di generare un cambiamento.

Ponticelli non é terra per donne, né per bambini, né per anziani. Ponticelli é terra di Associazioni, quelle che giorno dopo giorno, la stanno restituendo a chi ne viene privato. A chi viene privato di uno spazio verde, di una panchina, di serenità e di opportunità. A chi non ha avuto accesso all’istruzione, a chi é stato preso a calci dal mondo del lavoro ancor prima di metterci a piede, a chi il lavoro l’ha perso, a chi ha conosciuto poco il mondo fuori dalle quattro mura di casa e dentro se stesso. A chi, quando ha compiuto delle scelte, mica sapeva a cosa andava incontro, a chi si sente solo, fragile, incapace. Alle donne.

Il mercoledì é il giorno in cui non si prendono impegni, c’é un appuntamento sacrosanto in Via Curzio Malaparate numero 90, presso la sede del laboratorio di riciclo creativo Remida, lo spazio gestito da Anna Marrone e Paola Manfredi.

Di centri Remida nel mondo ce ne sono undici al momento: promuovono lo sviluppo culturale, la creatività e la sostenibilità attraverso il riutilizzo dei materiali di scarto. Quello a Ponticelli è l’unico al Sud Italia, e seguendo la linea della rete internazionale invita a indagare e sperimentare la materia di scarto per darle nuova vita: contrappone alla cultura usa e getta la cultura della valorizzazione dello scarto, come materiale tutt’altro che povero, carico di significato e di storia. È anche un centro educativo, che invita sin dall’infanzia alla scoperta dei materiali, per sviluppare consapevolezze e un senso di responsabilità sociale e ambientale, attraverso collaborazioni con scuole di ogni ordine e grado.

Attaccar Bottone, il laboratorio di sartoria del mercoledì, nato nel 2014, e sostenuto da più di cinque anni dall’8×1000 della Chiesa Valdese, è però un’iniziativa unica nel suo genere rispetto agli altri centri e legata al territorio per dare una risposta e per portare avanti una sfida: non é mai troppo tardi per mettersi in gioco.

L’esigenza era chiara: riservare uno spazio alle donne, di tutte le età e provenienti dalle diverse periferie del territorio. Uno spazio che permettesse loro di unirsi e scoprirsi, supportarsi e condividere, imparando a cucire.

La maggior parte delle centinaia di donne che sono passate per il laboratorio non aveva mai messo mano ad una macchina da cucire né si era mai cimentata nell’ambito della sartoria.

Oggi ognuna di loro ha scoperto una piccola capacità, un’abilità che non aveva avuto l’occasione di conoscere. Per molte è uno spazio per ritrovare la propria voce, o per abbattere la solitudine.

C’è chi ha perso il marito, chi ha attraversato una malattia, chi ha i figli lontani, chi non ne ha. Ci sono le donne che sono state rinchiuse in casa per la maggior parte della loro vita, quelle per cui gli studi o un corso di formazione sono sempre stati inaccessibili.

Alla fine basta imparare a fare piccole cose per riscoprirsi capaci. “Questo é un luogo in grado di renderti autonoma, in poco tempo ti ritrovi ad essere fiera di te stessa, senti il sapore dell’indipendenza” spiega Paola Mango, una delle prime ad approdare nel progetto. “Sai cos’é davvero incredibile qui? Che c’é sempre un equilibrio. Si finisce sempre per trovare una soluzione o per ridere.”

A sinistra Paola Mango, al centro Anna Marrone

“Raccogliere i pezzi di stoffa é un po’ come raccogliere qualcosa di noi, metterlo sul tavolo, condividerlo, accettarlo, mescolandoci in uno spazio complice” sono le parole di Loredana, le ho trascritte mentre le sedevo accanto, spaesata dalla presenza di così tante donne attorno a me, tutte complici, in un clima di confidenza e colori.

Loredana é l’anima del gruppo, non solo perché riesce sempre a far ridere, ma perché ha colto il senso più profondo dei processi che maturano all’interno di Remida: “Nella sartoria non ti senti più sola e parliamoci chiaro, la solitudine è orribile. Qui trovi una casa e capisci come stare in società semplicemente attraverso gli oggetti che insieme realizziamo perché insieme si realizza qualcosa di meglio ed é così che impari ad accogliere l’altro. E’ il primo luogo di Ponticelli in cui avviene un processo costruttivo e non distruttivo, una modalità di relazione che esportiamo nel quartiere.”

Loredana Corcione
Borse realizzate con tessuti di cataloghi di tappezzeria

Alla solitudine, si aggiunge l’impotenza economica. É difficile trovare lavoro nel quartiere, é difficile avere accesso a delle opportunità. Assunta per esempio il suo lavoro l’ha perso anni fa, quando la zona di Volla, dove vive subisce un processo di industrializzazione forzata e nel giro di poco il territorio cambia morfologia. Lo spazio di terra dove coltivava assieme al marito le rose si restringe tra alte pareti di cemento, i fiori si ammalano e l’attività fallisce. Da quel momento in poi resta in casa per un lungo periodo.

“Vivevo una vita piatta, ai limiti della depressione” racconta “Cercavo corsi di cucito ed erano tutti inaccessibili dal punto di vista economico. Grazie alla sartoria ho ripreso la mia vita in mano, io che non sapevo neanche mettere un bottone, io che mi sentivo inutile. Oggi insegno ad altre donne a cucire, lo faccio nel mio quartiere, dove domina la camorra. Dove vivo fa davvero tutto paura, ma insieme, parlando tra ago e filo, ci si libera dalle paure e ci si ricarica di coraggio.”

Al centro Assunta Capasso, mentre lavora le stoffe.

Anna e Paola, che hanno le redini del progetto, sono donne del territorio, ne conoscono le difficoltà, la durezza, le mancanze, ed é per questo che in tutti questi anni hanno portato avanti, spesso solo con le loro forze, la gestione dell’intera attività.

“Mi basta che anche una sola di loro riscopra se stessa, che viva con fiducia e speranza, per portare avanti l’iniziativa“, me lo dice Anna con le parole e me lo trasmette con lo sguardo.

Anna Marrone
Anna Marrone, accanto alla locandina del progetto.

Non é un’impresa semplice, soprattutto quando si hanno sogni ambiziosi. Negli anni anni sono avvenute varie collaborazioni che hanno reso Remida un incubatore di crescita professionale, dalla collaborazione con l’Università di Design e Moda, ai workshop, fino al coinvolgimento di aziende ed artigiani che hanno fornito materiali di scarto, come la Moda Positano Artigianato e la Tessuti di Sondrio di Marzotto Lab.

La crescita, le esperienze e l’accumulazione dei materiali di scarto, hanno poi dato forma a S’Arte, l’embrione di una start-up, con la quale realizzare attraverso le collaborazioni con altre aziende prodotti di vestiario e di arredamento all’interno della sartoria.

Alcuni dei materiali sono stati utilizzati ad esempio per realizzare le gonne che a luglio 2021 le donne di Attaccar Bottone hanno indossato durante la sfilata organizzata presso la sede.

Pensa a quale sarebbe l’impatto sul territorio se questo fosse un luogo dove venire tre giorni su cinque, pensa a quali sarebbero gli effetti sulle vite di chi entra qui e ritorna a casa con una piccola quota della sua indipendenza” afferma Anna.

Una prospettiva che contribuirebbe allo sviluppo effettivo del territorio e della città, che per Remida attualmente é utopia per la complessa vicenda giuridica che coinvolge l’associazione e che la sta piegando in ginocchio.

Oggi sulle spalle di chi ha la rappresentanza legale, dovrebbe ricadere un debito nei confronti del Comune di Napoli pari all’incirca a 270.000 euro e che cresce ulteriormente giorno dopo giorno.

Il debito, come ha spiegato l’Avvocato Luigi Tancredi, che sta accompagnando l’associazione in questa lotta legale, é maturato nel tempo perché Remida non avendo mai ricevuto negli anni un contratto di locazione ufficiale, ha pagato solo alcuni bollettini di un canone del quale non si é mai riuscita ad ottenere una quantificazione chiara.

Se dal punto di vista formale questo é vero, lo é altrettanto che in maniera informale, stando a quanto dichiarato dalla presidente Manfredi, mentre persistevano le richieste da parte dell’associazione di ottenere dei documenti, c’era sempre la porta aperta per il dialogo con Remida all’interno delle stanze comunali, al punto tale da sollecitare l’associazione a portare avanti le attività nella struttura in cui gli operatori dell’associazione avevano attuato fin dal 1999 il progetto Remida nato per iniziativa del Comune.

Soltanto nel 2011 arriva una delibera che affida all’associazione il bene al 10% del suo valore di mercato. La delibera viene impugnata successivamente dalla Corte dei Conti, impedendo cosi a Remida negli anni di portare avanti altre attività e progetti che prevedessero il legittimo affidamento della sede, fino all’arrivo della prima diffida di sfratto nel 2016.

In seguito, il canone che assieme alla Tari accumulata negli anni, ha dato forma al debito è stato successivamente ricalcolato con una valutazione pari al 100% del valore, calcolato anche in base ad altri spazi all’interno della struttura che sono stati utilizzati da Remida negli anni, grazie alla cura e al lavoro, a proprie spese, che l’associazione ha messo in atto per recuperarli.

“Noi abbiamo provato più volte a parlare con il Comune” spiega Paola da un punto di vista figurativo siamo abusive e morose, ma noi non ci siamo mai nascoste, abbiamo sempre richiesto un confronto con le istituzioni per poter continuare a gestire le nostre attività legalmente e con un po’ di serenità. Ancora una volta, chiediamo un confronto con i tavoli istituzionali.

Reportage fotografico a cura di Kristel Pisani Massamormile

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