La crescente diversità delle popolazioni in Europa crea nuove sfide per i sistemi sanitari, che devono continuamente adattarsi per rimanere reattivi. Tale diversità si spiega in gran parte attraverso la crescita dei fenomeni migratori, che portano gli immigrati a costituire una quota sempre crescente della popolazione europea. In Italia in particolare assistiamo a un saldo migratorio con l’estero positivo da quasi sessant’anni. Dopo un’inversione del trend tra il 2018 e il 2021 (in controtendenza rispetto ai dati sull’immigrazione nell’Unione Europa), i numeri hanno ricominciato a salire nel 2021 (oltre 318mila immigrati; +28,6%): i recenti aumenti sono dovuti in parte alla guerra della Russia in Ucraina, e in futuro anche il cambiamento climatico potrebbe avere un impatto.

Il sistema sanitario deve dunque confrontarsi con un bacino di utenza diversificato. Spesso, le esigenze sanitarie specifiche dei migranti sono poco recepite e sono anche alimentate a causa di diversi fattori: la difficile comunicazione tra migranti e operatori sanitari, la mancanza di diritti umani garantiti e l’accesso a lavori mal pagati ed usuranti. Se da un lato dunque i sistemi sanitari sono impreparati, dall’altro diviene difficile anche ottenere un margine di miglioramento tramite le ricerche perché spesso è complesso definire il concetto di migrante – che varia da paese a paese -, oltre che alla difficoltà di reperire dati sugli individui e sulle loro caratteristiche. Nelle analisi fino ad ora condotte è innanzitutto necessario notare che vi sono differenze sistematiche nell’accesso alla salute da parte dei migranti rispetto ai residenti e derivano da fattori quali le condizioni socioeconomiche, lo status di migrante o l’etnia. Tuttavia, l’accesso è difficile da misurare direttamente, e il più delle volte lo si fa in base ai livelli di utilizzo.

Diversi studi europei mostrano un accesso complessivamente più elevato a medici di base da parte degli immigrati rispetto ai non immigrati, al netto di ragioni legate al paese di origine, all’età e al sesso. Uno studio svizzero mostra che ci sono disuguaglianze nel modo in cui vengono trattati i pazienti stranieri all’interno delle strutture ospedaliere, poiché il loro periodo di permanenza è minore e dopo l’ospedalizzazione è più probabile che vengano abbandonati a loro stessi e non vengano seguiti, come dimostra il dato sull’assistenza post-ospedaliera. Le stesse differenze tra migranti e non si riscontrano nell’accesso ai Pronto Soccorso, con i primi che ne usufruiscono più frequentemente. Le ragioni delle differenze potrebbero essere legate alla maggiore facilità di accesso ai medici di base in alcuni Paesi, l’ampia gamma di servizi offerti dalla medicina generale e alla tipologia di servizi di medicina generale e ai tipi di malattie che colpiscono i migranti.
I motivi che influenzano l’accesso dei migranti alla salute sono di natura formale e informale: vi sono barriere legali al diritto ai servizi sanitari per alcuni gruppi di migranti, nonché barriere finanziarie. Nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea (UE), esistono restrizioni legali al diritto ai servizi sanitari per i richiedenti asilo e gli immigrati privi di documenti. In molti casi, la loro cura può avvenire solo attraverso servizi di emergenza. Ma le barriere possono essere anche informali, quali il linguaggio, la comunicazione, i fattori socioculturali e le difficoltà di inserimento. L’accesso sarà spesso influenzato da una complessa interazione tra tutti questi fattori.

Il termine “allofono”, derivato dalla linguistica, descrive i pazienti la cui prima lingua non è quella parlata nel Paese in cui vivono. Diversi studi hanno rilevato che le barriere linguistiche legate agli incontri medici con pazienti allofoni sono associate a un maggiore ricorso a indagini diagnostiche, un minore ricorso a servizi di prevenzione (come le visite senologiche) e una minore soddisfazione del paziente. In generale, una miglior comprensione da parte dei migranti della lingua del Paese ospitante porta a un miglior stato di salute, come mostrato da Clarke (2016).

Altri studi hanno dimostrato che la disponibilità degli operatori sanitari a lavorare con interpreti qualificati nella comunicazione con i pazienti immigrati, oltre a migliorare la soddisfazione di pazienti e operatori sanitari, aumenta il ricorso a cure preventive, migliora la segnalazione dei sintomi e diminuisce le incomprensioni.
L’utilizzo di interpreti, tuttavia, non è diffuso: in Australia, ad esempio, sebbene il Royal Australian College of General Practitioners raccomandi l’uso di interpreti professionisti, due terzi dei medici di base hanno dichiarato, in un sondaggio del 2006, di non aver mai utilizzato la “Doctors Priority Line”, che fornisce il più grande servizio di interpretariato telefonico gratuito al mondo per i medici. Tuttavia, l’82% dei medici di base non vedeva la necessità di utilizzare interpreti professionisti e ha riferito di utilizzare i familiari o gli amici dei pazienti come interpreti in caso di necessità. I professionisti della salute possono talvolta essere riluttanti a utilizzare interpreti qualificati a causa dei sentimenti negativi associati al “dialogo a tre”, come la perdita di controllo e la paura di essere esclusi dalla conversazione. Va evidenziato, inoltre, che le barriere linguistiche possono aumentare i costi medici, per il maggior rischio di errori medici e complicazioni di malattie.
Un altro fattore di diseguaglianza che entra in relazione con il sistema sanitario, incidendo sulla salute, è legato al lavoro. Le tipologie di lavoro a cui sono esposti in Europa, dove rappresentano una percentuale sempre crescente di forza lavoro, comportano condizioni precarie, con alti rischi per l’incolumità e assenza di tutele, aumentando la probabilità che usufruiscano dei sistemi sanitari nazionali. Il grado di precarietà è più elevato tra i lavoratori migranti rispetto a quelli non migranti e tra i migranti che non hanno un permesso di soggiorno o di lavoro. Un rapporto sulla salute e la sicurezza sul lavoro in Spagna ha mostrato come i migranti siano più spesso esposti a rischi sul posto di lavoro. Ai lavoratori migranti è stato richiesto più frequentemente di assumere posture dolorose o faticose (9,9% rispetto all’8,2% dei lavoratori non migranti), di sollevare o spostare pesi pesanti (8,8% vs 7,2%), di usare una forza significativa (9% vs. 6,4%) e di lavorare in spazi molto ristretti (6,1%).
Studi condotti in altri Paesi europei hanno identificato ulteriori fattori di rischio per le malattie professionali, come il lavoro monotono, la mancanza di chiarezza nell’assegnazione di compiti e funzioni e i conflitti interpersonali sul lavoro. La salute dichiarata dai lavoratori migranti è peggiore di quella della popolazione nativa. La loro posizione lavorativa incide non solo sulla salute ma anche sulla capacità di accesso ai servizi sanitari quando ne hanno bisogno, a causa della scarsa conoscenza dei diritti, dello status giuridico irregolare, della paura di essere espulsi o, in alcuni casi, della mancanza di tempo o di difficoltà amministrative.
Infine, a mettere in difficoltà il sistema sanitario sono anche le differenze nell’incidenza e nella rilevanza di alcune malattie e nella percezione dei sintomi che ne hanno i migranti comparati con i nativi. In diversi paesi europei sono stati osservati tassi di incidenza e di mortalità più bassi per quasi tutti i tipi di cancro: il 20-50% in meno rispetto ai nativi. Con poche eccezioni, i tassi di incidenza, prevalenza e mortalità del diabete sono molto più alti tra i migranti che tra i residenti locali: in media, la mortalità per diabete tra i migranti è del 90% più alta per gli uomini e del 120% per le donne.
Oltre ai confronti tra l’incidenza, per valutare lo stato di salute del migrante é importante conoscere il peso assoluto delle singole malattie e sapere quali di queste hanno maggiori probabilità di causare disagio, disabilità e morte precoce. In uno studio olandese, sono confrontate diverse malattie attraverso una misura che combina gli effetti delle malattie stesse sulla durata e sulla qualità della vita correlata alla salute in una popolazione e viene fatto notare come i migranti ne abbiano una percezione diversa rispetto ai cittadini locali.

Le malattie non trasmissibili che hanno una durata o una pericolosità maggiore tra gli immigrati includono il morbo di Alzheimer, l’asma e alcune malattie muscolo-scheletriche. La popolazione locale invece soffre di più di malattie tra le quali: problemi alla vista, cancro ai polmoni e demenza. È interessante notare che le malattie con il più alto impatto tra i migranti non includono malattie infettive tipicamente legate all’origine dei migranti o tipi di cancro legati alle malattie infettive (come il cancro epatico). Sappiamo infatti che in termini relativi, queste malattie si manifestano molto più frequentemente tra i migranti che tra gli autoctoni, ma l’impatto sulla salute generale e sulla sopravvivenza è ridotto rispetto ad altre patologie. Gli elevati livelli di mortalità per alcune malattie tra i gruppi di migranti rappresentano una sfida per il sistema sanitario. Particolare attenzione andrebbe posta all’individuazione, al controllo e al trattamento tempestivo e appropriato di diabete, ipertensione e asma.

Sebbene le disuguaglianze derivino da una combinazione di fattori non sempre misurabili, le politiche pubbliche hanno un margine d’azione su tali fattori facilitando l’accesso ai servizi sanitari.