L’occupazione israeliana in Cisgiordania attraverso gli occhi di Mediterranea Saving Humans
Dall’accompagnare i bambini a scuola, all’andare a lavorare, al portare il bestiame al pascolo, la quotidianità della popolazione della Massafer Yatta, una piccola regione agricola in Cisgiordania, è continuamente ostacolata dai coloni. A partire da gennaio 2025 Mediterranea Saving Humans (MSH) ha iniziato un’attività continuativa di supporto alla popolazione palestinese e di monitoraggio delle violazioni di diritti umani compiute a danno della popolazione.
Il 22 ottobre 2025, nella cornice di Palazzo Giusso, sede storica dell’Università di Napoli “L’Orientale” è stato presentato il primo rapporto semestrale sulle violazioni dei diritti umani compiute ai danni della popolazione palestinese da parte dei coloni israeliani in Cisgiordania, pubblicato da Mediterranea Saving Humans (MSH). Un rapporto basato su testimonianza audio-visive, dati e documenti, raccolti grazie alla collaborazione con il progetto Operazione Colomba, con l’associazione palestinese Youth of Sumud e attraverso gli attivisti italiani di MSH direttamente impegnati nella Massafer Yatta.[i]
L’area al centro del rapporto è quella del villaggio a-Twani, che sorge nella cossidetta “Zona C”: si tratta di un’area definita dagli Accordi di Oslo (1995), comprendente circa il 60% della Cisgiordania. “L’area è attualmente sotto un regime di occupazione de facto, essendo sottoposta alla gestione amministrativa e militare israeliana nonostante sia abitata per la stragrande maggioranza da palestinesi” spiega Laura Marmorale, Presidente di MHS e prosegue “La situazione è paradossale, perché ogni violazione del diritto compiuta dai coloni, quando denunciata, può essere accolta solo dalle stesse autorità israeliane, che in un terzo dei casi raccolti dal report di Mediterranea si rivalgono sulla stessa popolazione palestinese con rappresaglie e violenze.”
I dati
Il lavoro di MSH ha registrato una media dalle cinque alle sette violazioni quotidiane, oltre a un intensificarsi delle azioni armate contro i villaggi che a partire dal 7 ottobre, e in un crescendo di intensità dall’inizio del 2025, che hanno determinato la rasa al suolo interi insediamenti. Tutti questi elementi, letti in un quadro di insieme, materializzano non solo la volontà di occupazione della terra, ma anche l’intenzione di cancellare di un popolo.
È fondamentale che si sappia che non sembra esistere distinzione fra esercito e coloni nel compimento delle violazioni dei diritti umani ai danni dei palestinesi. La cancellazione di un popolo, che è a Gaza è stata deflagrante, qui procede in maniera sistematica, capillare e agevolata dal supporto passivo della stampa.
Laura Marmorale
Un report dettagliato
Con il contributo del prof. Luigi Daniele ( Università del Molise ) il rapporto presenta i caratteri formali ideali per essere preso in considerazione dalla Corte Penale Internazionale. «La novità di questo report» spiega Daniele «è che la pulizia etnica che sta avvenendo è documentata in dettaglio, grazie al lavoro degli attivisti: i protagonisti delle violazioni sono localizzati e individuati, puntando l’attenzione sugli aspetti quotidiani dell’occupazione ed evidenziando la fisionomia del potere dei coloni. Il report presentato oggi è il bilancio conclusivo di decenni di report, indagini e appelli lanciati dagli osservatori internazionali attivi in Cisgiordania, a Gaza e nei territori occupati di Palestina.”
«In quindici anni di lavoro ho compreso che ciò che il sionismo eliminazionista aborrisce più di ogni altra cosa è la documentazione dettagliata delle sue violazioni» osserva ancora Luigi Daniele, a ribadire l’importanza e la grande opportunità rappresentata dal report di MSH, non solo per offrire un nuovo documento agli specialisti dei diritti umani, ma anche in quanto segnale delle possibilità nelle mani della società civile.
La posizione di Mediterranea
MSH esercita un ruolo di assistenza mediante azioni di interposizione non violenta fra i coloni e gli abitanti dei villaggi palestinesi. In ciò si affianca a un movimento, Youth of Sumud, nato nel territorio e animato dalle comunità locali, che mette in campo una resistenza non armata contro l’occupazione. “Contro la coalizzazione spesso riscontrata fra coloni, esercito e polizia israeliani, l’interposizione non violenta si propone come opposizione di corpi e di passaporti civili, diametralmente opposta alla violenza armata che in queste zone si accompagna alla violazione dei diritti umani ai danni della popolazione palestinese” spiega Marmorale.
MSH è stata presa di mira pesantemente dai coloni e dall’esercito israeliano, d’altro canto le ONG sono state le prime da essere espulse dai territori occupati della Striscia di Gaza, prova dell’incidenza e dell’importanza del lavoro che portano avanti.
L’impatto sulla coscienza civile
Nel corso del dibattito è emerso come l’attenzione alla tragedia di Gaza sia soffocata dal dibattito intorno alla legittimità e liceità della categoria di genocidio. Il commento di Daniele ci aiuta a far chiarezza sulla questione:
“Relativizzare il crimine del genocidio in corso a Gaza sulla base dell’Olocausto è un equivoco gigantesco e pericoloso. Come dire: ‘non si può parlare di omicidio, se non in casi paragonabili al peggiore e più efferato omicidio storicamente noto’. Rovescia la più importante acquisizione dell’antifascismo, la codificazione del crimine di genocidio nel 1948 come strumento di prevenzione. Il pericolo è che si legittimi qualunque operazione futura che non sia strettamente identificabile nella fattispecie dell’Olocausto, mettendo così a rischio il diritto internazionale tanto quanto l’ordinamento democratico”.
Intanto Hafez Hureini, collaboratore sul campo di MSH ad a-Twani e membro di Youth of Sumud, ha spinto ad osservare come gli occhi del mondo si siano rivolti a Gaza quando di essa non è rimasto più nulla, mentre la Massafer Yatta offre oggi l’occasione di mobilitarsi per prevenire questo stesso destino.
“L’intensità e l’ampiezza delle mobilitazioni di ottobre dimostrano che è sempre possibile informarsi, aprire gli occhi e chiedere che i diritti vengano rispettati.” Aggiunge fiduciosa la Presidente di MSH, estendendo il discorso alle varie crisi umanitarie che l’organizzazione sta affrontando.
Nello stesso momento i fronti aperti sono tanti e diversificati, ma tutti meritano lo stesso sforzo di attenzione, perché dipingono insieme lo stesso scenario: ad esempio il Sudan, attualmente in fiamme, ha prodotto finora 400.000 sfollati dirottati verso il Ciad, nel contesto di un genocidio ad oggi non considerato per il disinteresse della comunità internazionale.
MHS è anche attualmente imputata per favoreggiamento all’immigrazione clandestina per un salvataggio in mare compiuto nel 2020.[ii] Sette attivisti di rischiano fino a trenta anni di carcere secondo la legge attualmente vigente in Italia, e nonostante i fatti abbiano ampiamente dimostrato dalle inchieste indipendenti e dai segni visibili sui corpi dei sopravvissuti quale destino attenda i migranti estradati in Libia.
“La volontà di mobilitazione emersa negli ultimissimi mesi ha bisogno di essere incoraggiata, finché la Palestina grida ancora, e con lei i confini del nostro mondo continuano a gridare, a soffrire e a rivendicare diritti. Osservare quello che succede a Gaza è un invito a tenere sempre aperto un osservatorio su quello che succede ai confini del nostro mondo” afferma Marmorale e prosegue:
«Se noi siamo in grado, come società civile, di rivendicare il ruolo che ci spetta nella tutela delle istituzioni democratiche e di sorveglianza dell’operato dei nostri governi, possiamo ancora sperare di vivere in un mondo dove valga la pena vivere come esseri umani».
[i] Su Massafer Yatta, come per tutte le missioni di mare e di terra, MSH tiene un diario online periodicamente aggiornato: https://mediterranearescue.org/it/missioni/filtro:Palestina
[ii] https://lespresso.it/c/attualita/2025/10/21/processo-mediterranea-ragusa-migranti-don-luigi-ciotti-migranti/57707. Il comunicato di MSH: https://mediterranearescue.org/it/news/caso-maersk-etienne-trasformeremo-le-accuse-alla-solidarieta-nel-processo-a-chi-fa-morire-persone-in-mare