L’ efficienza si porta prima in frontiera, o meglio, laddove la necessità di un intervento é più forte. La zona di frontiera è il quartiere di Ponticelli e l’intervento ha natura sanitaria: l’installazione dell’ambulatorio di Emergency.

Gli ambulatori della ONG fondata da Gino Strada sono diffusi sul territorio nazionale dal 2006, nella periferia Est di Napoli è arrivato nel 2015. Tra poco festeggia otto anni.

Insegna dell’ambulatorio accanto all’accesso
Quartiere di Ponticelli
Quartiere di Ponticelli

Il rosso dell’insegna Emergency risalta nitido lungo la strada come il contrasto tra la desolazione del territorio e la funzionalità della struttura.

Ogni quartiere come questo merita un ambulatorio come il nostro, un punto di riferimento per essere accolti con professionalità e gentilezza ed esercitare il diritto alla salute” spiega Tetyana Zolotarova, coordinatrice della struttura dove operano medici, infermieri, mediatori culturali, psicologi e volontari.

Tetyana accoglie un paziente
Tetyana interagisce con due pazienti ucraine
Pazienti nella sala di attesa

All’ambulatorio accedono cittadini italiani, cittadini stranieri residenti sul territorio e migranti. Da qualche anno la struttura é diventata un punto di riferimento per chi si ritrova a vivere senza fissa dimora o per chi vive in condizioni economiche precarie, i cosiddetti “nuovi poveri”.

“Noi lavoriamo affinché le persone abbiano piena consapevolezza del proprio diritto alla salute, affinché non ritengano più che la nostra assistenza sia una forma di cortesia, ma comprendano e diffondano la cura a cui devono avere accesso, ma anche quella da avere verso se stessi nella gestione della malattia.” continua Tetyana.

In pratica si offre una vera e propria educazione sanitaria a titolo gratuito per orientare gli utenti nella autogestione della propria condizione di salute. Un lavoro che si porta avanti soprattutto con i pazienti cronici, come quelli affetti da diabete.

Crescenzo spiega la terapia per il diabete ad una paziente di origini africane
Ritratto di Crescenzo
Crescenzo durante l’intervista

“Qui abbiamo la possibilità di agire su una grossa inefficienza” spiega Crescenzo Caiazza, infermiere dell’ambulatorio e prosegue: “un cronico che accede continuamente al pronto soccorso semplicemente perché non ha compreso come gestire il diabete o addirittura perché non sa ricondurre i sintomi alla malattia costerà tantissimo al nostro sistema.”

Ma le inefficienze sulle quali interviene il lavoro quotidiano del team di Emergency si estendono oltre i limiti della periferia o dei confini nazionali, riguardano la complessità che si nasconde dietro al concetto della “cura”, che diventa ancora più evidente quando i sistemi sanitari si relazionano ai migranti.

Nell’articolo di Antonio Genovese ( qui ) si evince che per garantire l’effettivo accesso alla salute di un paziente migrante é necessario un approccio integrato di competenze. Professionalità che sappiano gestire barriere linguistiche, culturali, le farraginosità delle macchine burocratiche e le fragilità psichiche del paziente.

Si chiama medicina transculturale. È un approccio di cui mi parla Crescenzo. Si tratta di un filone della medicina che nasce dopo la guerra del Kosovo, quando il sistema sanitario nazionale si é ritrovato di colpo a doversi rapportare con un grosso numero di pazienti stranieri. E’ da quel momento che sono stati sperimentati approcci che hanno dato vita a dei veri e propri protocolli d’intervento. Si tratta di metodologie orizzontali, basate sul dialogo, per non imporre la propria cultura dominante in un setting terapeutico.

Una medicina tagliata sul paziente, sulle esigenze fisiche, ma anche sul suo background culturale, nell’ottica di una modalità di cura condivisa.

Dettagli della struttura
Dettagli della struttura
Armadietto con farmaci
Sala d’attesa

È la capacità di interazione che fa la differenza nei risultati: senza l’imposizione di una linea, ma attraverso banche dati, confronti con metodi scientifici alternativi, ascolto del paziente e rispetto della sua cultura, si da forma ad una medicina sartoriale, una cura cucita sul vissuto del paziente che incrementa drasticamente le probabilità di guarigione.

Emergency porta avanti, dunque, un lavoro di dialogo, orientamento, supporto e mediazione, volto ad abbattere le inefficienze dei sistemi sanitari che spesso derivano dalla superficialità o dalle ristrettezze degli approcci.

Curare significa accogliere e la banconota nel taschino di Dino Rossi é l’emblema di questa linea di pensiero.

Dino mostra la banconota nigeriana
Ritratto di Dino
Mani e tesserino di riconoscimento di Dino

Dino è uno dei mediatori culturali all’interno della struttura ed uno dei primi professionisti a cui i migranti si interfacciano. Ogni mediatore ha competenze e conoscenze rispetto a culture differenti e nell’ambulatorio si parlano complessivamente tredici lingue. Dino conosce particolarmente bene quella nigeriana, ha lavorato per anni a Castel Volturno.

“La banconota é uno strumento di vicinanza. Più ci si addentra in un popolo, più si riesce a comprenderne la mentalità, la relazione, le abitudini. Essere mediatore significa sempre saper contestualizzare, comprendere. I pazienti spesso devono essere seguiti passo passo come bambini.” spiega Dino.

I mediatori li seguono dall’inizio, inquadrandoli prima di tutto dal punto di vista amministrativo: residenza, permesso di soggiorno, codice fiscale ed altre esigenze burocratiche a seconda dei casi. Poi si procede con l’iscrizione sanitaria e viene rilasciato il tesserino STP ( straniero temporaneamente presente ).

Dopodiché cominciano le battaglie. Da un lato é frequente dover lottare per far comprendere al paziente il suo stato di salute e l’importanza della cura, dall’altro si lotta con la burocrazia per l’organizzazione dei controlli medici ( le visite, gli esami strumentali, gli esami diagnostici ) e con le amministrazioni di riferimento per far comprendere il mondo del paziente.

Dino accoglie un paziente straniero al desk

Dino mentre ricerca documenti
Mani di Dino e Lea durante l’intervista

I migranti possono raggiungere l’ambulatorio attraverso la navetta della ONG, che parte tre volte al giorno per cinque volte alla settimana da Piazza Garibaldi.

I mediatori li accompagnano nei percorsi e attraverso questo lungo e complesso lavoro di relazione che prevede notevoli conoscenze tecniche e settoriali a livello burocratico, garantiscono l’effettivo accesso alle cure.

la navetta di Emergency
paziente in attesa

Ma gli ostacoli nella burocrazia non esistono solo per i migranti, le problematiche che derivano dalla farraginosità di alcuni meccanismi del sistema sanitario nazionale coinvolgono anche i pazienti non stranieri.

“Un paziente oncologico ad esempio”, spiega Gennaro Carrozza, medico in pensione, attualmente volontario e prosegue: “dopo essere stato visitato da un oncologo in una struttura dovrebbe poter essere seguito da un team all’interno di quella stessa struttura, che sappia farsene carico per gli accertamenti senza costringerlo a spostarsi per tutto il territorio.”

Lo stesso discorso si applica ai costi spesso inaccessibili degli esami strumentali o dei farmaci, che prescindono dalla cittadinanza.

Gennaro durante l’intervista
Gennaro e Lea durante l’intervista
Gennaro mostra il camice con il marchio di Emergency

D’altro canto c’è un lato della medicina che é universale, prescinde da qualunque dimensione culturale, e consiste nella concreta opportunità di avere accesso alle cure, nei tempi e nei modi più funzionali alla tutela della salute.

Ed é anche lo stesso approccio verso il paziente in realtà a poter rivestire un carattere universale, che prescinda dalla provenienza territoriale e si basi sull’ascolto, da quello che afferma Gennaro.

“Per fare il medico ci vuole molta umiltà. Si tratta di avere la coscienza di non sapere e di ricordarsi che senza il malato, il medico non esisterebbe. Bisogna guardare, osservare, entrare nella problematica del paziente, farla propria. Nel dover assistere un essere umano è imprescindibile il dialogo.”

Virginia mentre controlla le cartelle al desk
Virginia interagisce con Marilena Silvetti, infermiera della struttura

E sono tanti i giovani medici che studiano e percorrono questa strada ispirati dal filone di pensiero di Emergency, come Virginia Gatto, entrata a far parte del team pochi mesi fa dopo anni di volontariato non sanitario e dopo aver concluso la specialistica in medicina generale.

Ho potuto toccare con mano quell’idea di cura che per anni mi ha ispirata. Entrare a far parte di un team di lavoro che ha realmente a cuore il benessere dei pazienti, osservandoli sempre con uno sguardo ampio” racconta Virginia.

Poi espone un pensiero, che appartiene un po’ a tutte le voci che ho ascoltato.

“L’altro giorno ho dovuto annunciare una gravidanza ad una giovanissima donna. Lei non sapeva se il figlio fosse il frutto dell’amore per il compagno o di uno stupro subito mentre viaggiava verso l’Italia. Qui arrivano donne vittime di tratta, pazienti in condizioni estremamente critiche per i lavori ai quali sono costretti o perché non hanno percezione di che cosa siano salute e prevenzione. Sono persone che vivono sul nostro territorio, ne fanno parte, lavorano per noi, curano gli anziani, coltivano le verdure che mangiamo e spesso pagano le tasse. Hanno il diritto di essere accolte e curate dal sistema sanitario nazionale.

L’idea in pratica é che Emergency debba scomparire. Deve scomparire la necessità che affianchi il sistema sanitario.

Però, ad oggi, é chiaro che l’intervento della ONG sui diversi territori sia essenziale per garantire a migranti e non migranti di vivere in uno Stato di diritto.

L’ambulatorio di Ponticelli nel 2022 ha seguito 1.776 pazienti, fornendo 8.255 prestazioni.

Il team

Reportage fotografico a cura di Jacopo Cataldo

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