Ricerche e trend per comprendere la complessità del fenomeno.
I flussi migratori aumentano la disoccupazione nel paese ospitante oppure creano nuove opportunità di lavoro ? Da almeno mezzo secolo la ricerca scientifica in ambito economico si interroga su come dare una risposta a questa domanda. Dal punto di vista teorico, ovvero attraverso i modelli utilizzati dall’economia per analizzare i fenomeni e identificare delle dinamiche sociali, non è possibile trovare una risposta univoca. Se da un lato, infatti, i flussi migratori aumentano l’offerta di lavoro in determinate occupazioni e industrie, alimentando metodi di produzione ad alta intensità di manodopera, dall’altra inevitabilmente incrementano la competizione sul mercato. Di conseguenza non è ovvio dal punto di vista teorico se la migrazione abbia un impatto positivo o negativo sulle prospettive occupazionali dei lavoratori o se invece, come molti sostengono, non abbia alcun effetto perché può aumentare la concorrenza ma allo stesso tempo creare posti di lavoro.
È necessario passare dalla teoria agli studi empirici per provare a comprendere l’impatto che i flussi migratori hanno sull’occupazione nel paese ospitante.
Prima di analizzare le diverse evidenze dobbiamo ricordare che, come sottolineato nel precedente articolo relativo a migranti e sistemi sanitari (vedi qui ) la sola definizione del termine “immigrazione” può creare fraintendimenti. Diamo quindi la definizione di immigrato, almeno nella sfera lavorativa, come di “persona nata all’estero e che si ritrovi a lavorare nel Paese ospitante”. Inoltre dobbiamo evidenziare che le scelte dei ricercatori in merito ai dati utilizzati, al periodo di tempo considerato e ai metodi applicati, possono influenzare i risultati. Tuttavia, attraverso uno studio d’insieme del problema, possiamo identificare alcune tendenze di base che sembrano ampiamente coerenti tra gli studi.
Tre studi in evidenza
- Nel 2011 il conflitto siriano ha causato un grande afflusso di rifugiati in Giordania. Nel 2015, c’erano circa 1,3 milioni di siriani in un Paese che conta solo 6,6 milioni di giordani. Nonostante questo, gli effetti sui livelli occupazionali e salariali sono stati minimi se non nulli, e le condizioni lavorative dei giordani che vivevano in aree con un’alta concentrazione di rifugiati non hanno mostrato risultati peggiori sul mercato del lavoro rispetto ai giordani meno esposti all’afflusso di rifugiati.
- Un altro esempio ci viene dato ancora una volta dall’ondata di rifugiati siriani che si è sparsa nei paesi limitrofi dopo il 2011. In Turchia, ad esempio, gli effetti dell’ondata migratoria sono stati diversi rispetto alla Giordania, a causa della conformazione del mercato del lavoro interno: l’afflusso di rifugiati siriani ha portato a piccole ma significative perdite di occupazione informale tra gli autoctoni in Turchia. L’ occupazione nel mercato del lavoro nero si è ridotta del 2% (aumentando invece dello 0,5% nel settore formale), senza effetti sui salari. La penetrazione dei rifugiati siriani nel mercato del lavoro turco attraverso il canale informale ha generato vantaggi in termini di costo del lavoro nei settori informali ad alta intensità di lavoro.
- Uno studio britannico invece conclude che l’impatto principale dell’aumento dell’immigrazione dal 1975 al 2005 è stato sui salari degli immigrati già presenti nel Regno Unito.L’ultimo elemento da considerare è l’impatto che nuovi flussi migratori hanno sulle opportunità di lavoro degli immigrati già stanziatisi nel paese ospitante. Le ricerche suggeriscono che gli eventuali effetti negativi dell’immigrazione sui salari saranno probabilmente maggiori per i lavoratori residenti che sono a loro volta immigrati. Questo perché è probabile che le competenze dei nuovi immigrati siano più vicine a quelle degli immigrati già impiegati nel paese ospitante che a quelle dei lavoratori nati in tale paese.
Conclusioni
Quello che risulta dagli studi empirici è che i flussi migratori possono avere effetti negativi sui lavoratori a bassa retribuzione (specialmente nel caso in cui si riesca a focalizzarsi sul lavoro nero) ed effetti positivi sui lavoratori ad alta retribuzione, ma entrambi gli effetti sono modesti.
In altre parole, anche se l’immigrazione non è uno dei principali fattori che determinano le prospettive dei lavoratori a basso salario nel mercato del lavoro, essa contribuisce a rafforzare o indebolire la loro posizione.
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Dove risiede la complessità dell’analisi?
Gli studi empirici ci consentono di mettere a fuoco la distinzione di una serie di variabili che sono determinanti per identificare l’impatto. Quando si parla dell’effetto dei flussi migratori sul mercato del lavoro è necessario non solo identificare il paese di provenienza e il paese di arrivo, ma anche il contesto storico e lo stato dell’economia in quel momento, a livello nazionale ed internazionale. il mercato del lavoro potrebbe adattarsi più lentamente all’immigrazione durante una recessione economica rispetto a un periodo di crescita. L’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro è precario, soggetto all’instabilità e agli shock del mercato, e le variabili che lo influenzano sono tante e difficili da isolare. Bisogna poi analizzare se ci si sta riferendo a flussi di migranti regolari o irregolari, perché costituiscono componenti della forza lavoro differenti in settori differenti. Ancora, si tratta di mercato nero o il mercato del lavoro formale? Poi, un’ulteriore distinzione riguarda l’effetto dell’immigrazione sul salario medio di tutti i lavoratori nell’economia e sui salari di diversi gruppi di lavoratori lungo la distribuzione salariale (ad esempio, lavoratori a bassa, media e alta retribuzione). È possibile, ad esempio, che l’immigrazione aumenti il salario medio di tutti i lavoratori, ma che diminuisca il salario dei lavoratori che svolgono determinati tipi di lavoro.
I prossimi articoli conterranno gli approfondimenti relativi ai vari aspetti da tenere in considerazione quando si affronta la tematica per poter comprendere a fondo e padroneggiare la complessità dell’argomento.