Spunti di riflessione sulle recenti novità legistative

La proposta di legge ha riacceso il dibattito su un tema eticamente sensibile, a cavallo tra il diritto e la moralità. La pratica della maternità surrogata, già costituente reato nel nostro paese, dovrebbe diventare, almeno stando alle volontà politiche espresse, pratica perseguibile anche al di fuori dei confini nazionali consentendo, pertanto, alle Procure di perseguire i “cacciatori di utero” che si recano all’estero, ove tale pratica è, però, lecita.

La materia sfugge a rigidi schematismi ed induce a ragionare su un dilemma di fondo: fino a che punto lo Stato può spingersi a limitare la libera autodeterminazione dei cittadini e fino a che punto questi possono, invece, soddisfare la propria voglia di genitorialità? Viene da chiedersi qual sia il giusto compromesso tra il benessere psico-fisico di una coppia infertile (fisiologicamente e socialmente) e la tutela della dignità umana.

Quando è nato il bisogno di ricorrere alla maternità surrogata?

La maternità surrogata rappresenta un tema che affonda le proprie radici storiche nell’epoca di Roma antica e, perfino, nel diritto romano. Ciò a dimostrazione del fatto che non solo il tema ha sempre destato un certo interesse sociale, politico e giuridico ma anche che il problema dell’infertilità patologica, e la conseguente volontà di diventare genitori, appartiene a qualsiasi società e periodo storico. Alcuni studiosi ritengono, infatti, che gli antichi romani provvidero a superare il problema dell’infertilità di coppia, in primo luogo, con l’utilizzo di “filtri di fecondità” che nascondevano, spesso, veleni propinati dalle donne ai propri mariti con conseguente persecuzione delle assassine. Solo successivamente, si previde la possibilità per un uomo di “cedere” giuridicamente l’utero di una donna fertile ad un altro uomo. Ciò costituì, dunque, una pratica fondamentale per superare il problema dell’infertilità patologica della “uxor” e divenne anche uno strumento per legare gruppi familiari attraverso particolari forme matrimoniali.

La normativa al giorno d’oggi

Ciò posto e venendo ai giorni nostri, dopo un lungo percorso ed un complesso dibattito politico, solo con la Legge n. 40/2004 si è pervenuti ad una regolamentazione della materia attraverso la disciplina della procreazione medicalmente assistita, volta a “favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” assicurando comunque i “diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” (art. 1). Il ricorso a questa pratica è comunque consentito “qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause dell’infertilità” patologica (art. 2). Le pratiche di fecondazione assistita, rientrando nel campo degli interventi di carattere sanitario, prevedono una serie di metodiche (ad es. farmacologiche) che consentono ad una coppia infertile di superare la propria condizione patologica. Il legislatore, disciplinando tali pratiche sanitarie, ha costruito l’unica strada lecita per superare l’infertilità di coppia.

Ebbene, se questa pratica, attraverso alcuni accorgimenti, è divenuta utile a superare il problema dell’infertilità patologica delle coppie eterosessuali, resta ancora un tabù per i soggetti single e per le coppie omosessuali in quanto la normativa prevede che possono accedere alle tecniche terapeutiche coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi.

Come è noto, la maternità surrogata costituisce l’accordo con il quale una donna si impegna ad attuare e a portare a termine una gravidanza per conto di terzi, rinunciando preventivamente a “reclamare diritti” sul nascituro, spesso, dietro un corrispettivo economico. Come anticipato, costituisce reato nel nostro paese ed, in dettaglio, l’art. 12 comma VI della L. n. 40/2004 prevede, espressamente, che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza […] la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”.

Ebbene, come rappresentato, se in un risalente passato questa pratica era considerata lecita e socialmente accettata, sulla base del presupposto che la donna aveva il compito di concepire e portare al mondo un discendente pronto ad assumere la titolarità dei beni e dei fondi familiari oppure pronto a diventare una forza lavoro per il sostentamento della famiglia, oggi assume le caratteristiche di un disvalore per l’ordinamento in quanto la voglia di costituire una famiglia “ad ogni costo” non è tollerata.

La Corte Costituzionale e la giurisprudenza maggioritaria, nonostante qualche voce dubbia, ritengono che il divieto di maternità surrogata costituisca principio generale di ordine pubblico ed in quanto tale inderogabile.

Perché?

Secondo gli interpreti, infatti, essa “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane” in quanto “gli accordi di maternità surrogata comportano un rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate; situazioni che, ove sussistenti, condizionerebbero pesantemente la loro decisione di affrontare il percorso di una gravidanza nell’esclusivo interesse dei terzi, ai quali il bambino dovrà essere consegnato subito dopo la nascita”.

Si tratterebbe, insomma, di una pratica che mercificherebbe il corpo della donna e aprirebbe un mercato a discapito della dignità della stessa. Il timore, infatti, del legislatore è che, rendendo praticabile la maternità surrogata, essa si diffonderebbe inevitabilmente nelle fasce socialmente ed economicamente più deboli della società svilendo, pertanto, quei presidi minimi di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, di uguaglianza sociale, economica e giuridica. Secondo questa interpretazione della pratica, lo scopo di lucro risulterebbe l’unico fine perseguito dalla gestante.

E il diritto a procreare ?

C’è chi sostiene che ciò che deve essere invece tutelato è il benessere psico-fisico della coppia infertile così come il diritto della donna gestante di disporre del proprio corpo senza alcun limite imposto dal potere statuale. Quest’aspetto, d’altronde, è tutelato dall’ordinamento giuridico e, in particolare, dalla Carta Costituzionale nella parte in cui prevede la tutela della salute (anche psichica) “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Tale argomentazione è stata tradizionalmente utilizzata per sostenere la necessità di disciplinare le tecniche di procreazione medicalmente assistita che, come anticipato, costituiscono le uniche pratiche lecite atte ad agevolare il concepimento per soggetti infertili ma mai come fondamento per sostenere anche la surrogazione di maternità. Ciononostante, tale ragionamento è stato, tuttavia, utile in quanto la formazione di una famiglia costituisce lo sbocco naturale di un percorso di condivisione con il proprio partner e come tale va garantito anche in chiave sociale. La Corte Costituzionale, infatti, ha ribadito che “il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione”.

I giudici, insomma, se da una parte sostengono questa vocazione sociale dell’importanza della formazione del nucleo familiare, come cellula elementare su cui si costruisce un’intera comunità di persone, dall’altra parte sostengono a gran voce l’istituto dell’adozione che rappresenta un compromesso tra la voglia di genitorialità e la tutela della dignità umana in tutte le sue forme.

In altri paesi

Tanto premesso, volgendo lo sguardo ad altri sistemi, la pratica “dell’utero in affitto, ammessa in altri paesi dell’Europa e del mondo. Ad esempio, la legislazione inglese e greca consentono la pratica, con la condizione che la madre genitrice non percepisca alcun corrispettivo a fronte della prestazione eseguita. Si andrebbe, pertanto, a garantire la genuinità di un atto spontaneo in cui una donna si presta, senza alcun fine di profitto, a soddisfare il desiderio profondo di una coppia.

Anche l’ordinamento ucraino ammette la pratica del cd. “utero in affitto”. In tale contesto, la surrogazione di maternità è consentita solo per le coppie eterosessuali anche straniere, mentre è proibita per single e coppie omosessuali. Secondo alcune stime, il costo della surrogazione di maternità in questo paese può arrivare fino a diverse migliaia di euro come corrispettivo per la donna gestante. Questo dato rappresenta probabilmente il punto più evidente di come si possa sviluppare concretamente un mercato in cui donne in cerca di profitti mettano a disposizione il proprio corpo per portare avanti una gravidanza su commissione. Molti sostengono che tale sistema ha reso l’Ucraina, almeno in Europa, centro del turismo medico per il trattamento della sterilità.

Anche negli Stati Uniti è prevista la maternità surrogata e molti Stati hanno regolamentato la pratica prevedendo la stesura di contratti che legano gli aspiranti genitori alla portatrice ed eventualmente ai donatori dei gameti.

Dunque, la diversità di approccio nelle legislazioni dei paesi del mondo dimostra la differente inclinazione che diversi popoli hanno su temi che eticamente tendono, quasi inevitabilmente, a dividere. Gli ordinamenti che rendono lecita la pratica della surrogazione di maternità sono spinti da valori di fondo e convinzioni etico/morali completamente differenti dal nostro legislatore storico. Pertanto, in tali paesi è consentita la soddisfazione della voglia di genitorialità di coppie infertili permettendo, così, alle stesse di costruire una famiglia. In tali ultimi ordinamenti, il bilanciamento di contrapposti valori pende, inevitabilmente, anche nel senso di una maggior apertura verso la piena disponibilità del corpo della donna senza alcun limite imposto dallo Stato.

La riforma della maggioranza del Governo Meloni

Ebbene, il divieto “penalmente sanzionato” della surrogazione di maternità con perseguibilità anche nei confronti dei cittadini italiani che si recano all’estero per accedere a tale pratica sta procedendo spedita verso la sua definitiva approvazione legislativa. Tocca sempre al Parlamento ed alla maggioranza ivi costituita effettuare le scelte di politica criminale, secondo un principio fondamentale di democraticità, legalità e di riserva di legge su cui si fonda il sistema penale. Il testo composto da un solo articolo prevede la modifica dell’articolo 12 comma VI, della L. n. 40 del 2004, aggiungendovi un periodo, secondo il quale se i suddetti fatti “sono commessi all’estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana”.

Alcuni giuristi hanno espresso dubbi sulla tenuta della nuova norma, tacciata, sin da subito, di irragionevolezza, anche costituzionale, in quanto si andrebbero a punire fatti che nello Stato (estero) in cui sono commessi sono del tutto leciti.

Non sono mancati i primi commenti politici al risultato legislativo. Secondo i sostenitori della maggioranza di Governo, che ha fondamentalmente ripresentato una proposta di legge costruita quando il Centrodestra era ancora all’opposizione, la nuova disposizione andrebbe a tutelare quei valori che anche la Corte Costituzionale ha più volte evidenziato e cioè la tutela della dignità della donna e del nascituro, allargando così la garanzia anche dal punto di vista internazionale e non lasciandolo più limitato all’interno dei confini nazionali. Chi saluta con favore la riforma, infatti, evidenzia come tali valori, costituzionalmente garantiti, siano così tutelati trasversalmente e potrebbero portare ad un dibattito politico e giuridico di più amplio respiro sovranazionale e tale da spingere gli altri paesi a vietare la pratica della maternità surrogata.

Stando, invece, alle prime reazioni dell’opposizione si tratterebbe di una riforma che andrebbe ad attaccare le nuove formazioni sociali, tutelate dall’art. 2 della Costituzione, e le cd. “famiglie arcobaleno” andando, dunque, a ribadire la volontà di privilegiare la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra donna ed uomo. Inoltre, per l’opposizione l’introduzione della nuova norma potrebbe “indurre il genitore intenzionale o la coppia che abbia fatto ricorso alla maternità surrogata negli Stati in cui è consentita, a rinunciare alla trascrizione dell’atto di nascita, rinunciando così ad un titolo giuridico utile per il riconoscimento dello status di genitore” nei confronti del minore pur di evitare l’incriminazione.

Fonte irriducibile di contrasti politici e giuridici, la maternità surrogata offre una serie innumerevole di spunti riflessivi. Spinge a ragionare sui limiti che lo Stato può imporre ai propri cittadini e fino a dove essi possono, invece, spingersi per soddisfare i propri sogni, interessi e diritti. È difficile porsi in una prospettiva rigida e schematizzata trattandosi, come evidenziato, di un tema che coinvolge, di sovente, la parte più intima dell’animo umano, toccando inevitabilmente le inclinazioni e convinzioni personali di ognuno.

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