Sopravvivere al proprio figlio è contro natura. Me lo ripete spesso il mio papà, con voce decisa, come se non ci fossero alternative. Mi ripete spesso che l’amore per i propri figli non si sa bene come contenerlo.

Osservando Anna e Pino non me ne capacito; sono lì davanti a me, i volti sereni. Si sono svegliati quella mattina, hanno preso il caffè, rifatto il letto, steso qualche panno, riposati ma non troppo. Nel pomeriggio dovranno di nuovo parlare di lui, come fanno ininterrottamente da tre anni. Com’è che li definiamo? Esiste l’orfano, esiste il vedovo. Ma i genitori che perdono un figlio. A loro che nome diamo?

Continuo a pensarci alla presentazione del documentario che parla di Mario, fuori concorso al NaNo Film Festival. È lì che li incontro per la prima volta, assieme a Valerio e Salvatore e, guardandoli accade una cosa strana: mi sembra di assistere ad una riunione di famiglia, alla quale non sono stata invitata ma in cui, in qualche modo, sono la benvenuta. Una famiglia ironica, calorosa.Ci provo, ma non riesco neanche lontanamente ad immaginare come il dolore cammini invece accanto a loro, dignitosamente un passo indietro.

La sala è quasi vuota. Le teste di Anna e Pino avanti a me qualche fila più giù, ombre scure isolate in un mare di poltroncine blu. Sono illuminati a sprazzi dalle luci dello schermo, dov’è proiettato il documentario che parla del loro ragazzo. Si parla di lui come uno che danzava a testa alta verso la vita. Mi domando se Anna e Pino si sentano così: seduti vicini, la testa alta come quella del figlio, ma con la schiena pesante. Seduti vicini, ma forse un po’ soli tra tanti posti vuoti, troppi. Quelli pieni occupati dagli stessi volti che ormai ruotano attorno la vicenda. Mi domando quanto riescano a reggere il continuo diffondere del ricordo del loro ragazzo.

Mario Paciolla è morto il 15 luglio del 2020, a San Vincente del Caguàn, dove lavorava come osservatore Onu dell’accordo tra il governo colombiano e la FARC. Era un’attivista, volontario, giornalista, poeta, aveva 33 anni. Mentre scrivo, l’ipotesi più accreditata è ancora quella del suicidio, probabile è l’archiviazione del caso. Eppure tutti coloro che l’hanno conosciuto, affermano senza ombra di dubbio, la stessa cosa: Mario assomigliava alla vita.

Guardo il documentario Come Fuoco di Salvatore de Chiara, nato da un’idea di Valerio Bruner e Alessandro Liccardo, e mi accorgo che l’intera città mi parlava di lui da un po’. Sono stata distratta: troppe cose passano davanti ai nostri occhi e sfuggono alla nostra coscienza.

Penso al murales di Jorit al liceo Vittorini, a quello al Kobe Park di Montedonzelli, all’edicola dedicatagli a via Pietro Castellino grazie all’iniziativa Liberi Edizioni dell’associazione Free Assange Napoli. Penso al comitato Giustizia per Mario Paciolla nato immediatamente il giorno dopo la sua morte, che assieme ai genitori, lotta continuamente per diffonderne la storia; all’aula che gli studenti universitari di Link Orientale hanno intitolato a suo nome, ragazzi che non si sono fermati davanti la sua morte, sottolineando quanto questo non sia solo un racconto di giustizia o dolore, ma uno in grado di smuovere le coscienze.

Dal documentario è come se l’anima di Mario fosse stata condivisa come il pane, il suo ricordo affidato alle tante mani di chi l’ha conosciuto o di chi, come me, sta ancora imparando la sua storia.

La prima voce che ascolto è quella di Valerio Bruner.

Ha un volto onesto, pulito, generoso. Mi confida, con leggera esitazione, dell’ultima volta che ha sentito Mario.

Ci scrivemmo durante la pandemia, per un’informazione sulla casa editrice dell’Orientale per la quale stavamo collaborando. Era un momento difficile, dimenticai di rispondergli ad un paio di messaggi. “Guaglio’, si’ ce staje, sentimmece.” Qualche settimana dopo, morì. Nacque il primo rimorso. Se avessi risposto, se l’avessi richiamato, sarebbe cambiato qualcosa? Cosa voleva dirmi? Ho voluto chiedergli scusa, in qualche modo.”

Nasce così Sempe Ccà, brano dedicato a Mario, inno che intima alla giustizia e alla verità di uscire allo scoperto.

Mi dice La vicenda di Mario me fa’ ‘ncazza’. Si’ vede che c’è qualcosa che non va”. Mi dice che la “nostra storia”, quella che domanda la verità, in faccia ai grandi poteri, non vale niente. Peggio ancora se vieni dal Sud del mondo. Mi dice che quello che noi possiamo fare è mantenere alta l’attenzione. Anche se nel frattempo passano anni, tutto cambia e nulla si trasforma.

Vedo le sue foto, e penso chissà se l’ho mai sfiorato per le strade di Napoli, pare uno di cui mi sarei infatuata. Mi sembra di conoscerlo.

Ne rido con Salvatore. “Secondo me era una di quelle persone che si’ te vede p’ ‘a via, viene e ti abbraccia”, mi dice, con occhi buoni. Mi dice, con onestà, che qui c’era da sporcarsi le mani, da avere molto coraggio. È stato spinto ad accettare l’urgenza dietro la vicenda: smuovere le coscienze affinché la verità sulla morte di un giovane uomo emergesse. “È morta una persona buona. È talmente tanto il bene che ha fatto, che non poteva smettere di farne ancora quindi no, non credo al suicidio.”

Doveva essere un documentario a misura d’uomo con inquadrature sporche, caotiche, come la storia che si sta raccontando. Quella di Mario è una storia che non deve fare paura: deve essere semplice come uscire dal bar dopo un caffè e prendere il pullman per tornare a casa, e quel caffè ti risale in gola perché il pullman prende troppi scossoni, perché le strade di Napoli sono sempre “scassate”. Quella di Mario è solo una storia vera.

È la storia di un bambino, un amico, un figlio. Avrà pianto, avrà dato il primo bacio, avrà fatto l’amore, avrà passato notti insonni, avrà provato l’emozione della prima parola scritta, il cuore spezzato, la prima sigaretta, il primo sorso di caffè.

Il documentario sottolinea quanto sia importante far capire che Mario non era un eroe, ma un giovane dei nostri tempi che ha voluto mettere a disposizione la sua intelligenza, empatia e conoscenza a favore di determinate realtà.

Me lo dice la madre, Anna. Ci incontriamo al Kobe Park di Montedonzelli, ad accogliermi il bellissimo volto di Mario dipinto da Luca Carnevale. Ci sediamo proprio lì all’ombra accanto al muro, dietro di noi il campetto da basket. Sento che per entrambe, lo scivolio delle scarpe che corrono per marcare l’avversario e segnare in secondo tempo rievoca dolci ricordi. È una mamma dal volto un po’ stanco, porta con sé un dolore e una rabbia fiera, e non ha dimenticato di sorridere. Riparliamo lucidamente del processo e di ciò che è stato discusso alla conferenza del NaNo Film Festival:

Vogliono archiviare il caso, ma noi non ci fermeremo. Il nostro dolore è indescrivibile, cronico, ma questi non devono essere casi isolati: ancora oggi, ci sono dei ragazzi che partono con la volontà di cambiare le cose, e devono poter ritornare. Lo stato li deve tutelare, il nostro lavoro è combattere affinché questo avvenga.

Mentre mi parla di Mario non le trema la voce, sembra serena. Riesco di nuovo ad immaginarlo attraverso le sue parole: un bimbo buono, che ha cominciato a parlare a due anni e mezzo, pestifero ma riservato, timido quando con orgoglio si parlava dei suoi successi scolastici e non, raggiunti sempre con determinazione. Era veloce, un velocissimo playmaker e mai dimenticava di ricordare alla madre che avrebbero potuto farlo cinque centimetri più alto. Coraggioso, temerario, umano.

Avrà avuto paura.

Mi hanno detto che è stato un incidente di percorso. Mio figlio non è un incidente di percorso e continuerò a dirlo, finché avrò voce. So che non avrebbe voluto tutta questa attenzione, ma è anche la stessa che lui avrebbe (ed ha) donato a chi ha patito un’ingiustizia. E per quello che stiamo facendo per lui, mi sento perdonata.

Mi sono imbattuta nella Dichiarazione dei diritti Umani, documento base delle Nazioni Unite, cui codice etico è d’importanza storica fondamentale: è stato il primo a sancire universalmente i diritti inalienabili dell’uomo, di tutelarne la dignità. È un testo che trascende ogni legislazione internazionale e nello stesso tempo è inclusa in ognuna.

Articolo 3: Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.

Articolo 5: Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.

Articolo 19: Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Da quando ho incrociato la storia di Mario penso ossessivamente al concetto di meschinità: Valerio mi ha detto che essere meschino è, per lui, vedere e rimanere fermi. E mi fa sorridere quanto nonostante siamo immersi ciecamente in un modo dove tutti sanno, ciò che è capitato a Mario a noi non è dato conoscerlo.

(Mi) chiedo quindi, di non esserlo, meschina. Non arrendiamoci alla paura di non poter cambiare le cose, giustizia e verità ci riguardano tutti. Mi domando, se avessi un’ora di tempo per parlare con Mario, cosa gli direi.

Che mi piace vederlo come quando sua mamma lo sedeva sopra al frigorifero mentre parlava al telefono, per non perderlo di vista. Gli direi che mi piace vederlo così seduto magari con le gambe penzoloni; noi che teniamo d’occhio lui, lui che tiene d’occhio noi.

Il 19 ottobre 2022  i pubblici ministeri romani hanno chiesto l’archiviazione del caso, lasciando nell’ombra un insieme di dati che contrasterebbero fortemente l’ipotesi di suicidio. Le avvocate Emanuela Motta e Alessandra Ballerini il 16 maggio 2023 hanno richiesto l’apertura della discussione con il giudice. Attualmente si attendono delle risposte credibili da parte del giudice.

Il podcast di raiplay ripercorre in dettaglio la vicenda https://www.raiplaysound.it/programmi/mariopaciolla-treannisenzaverita

Per contribuire con informazioni è possibile visitare la seguente pagina

https://leaks.marioveritas.org/#/

La storia di Mario Paciolla è ancora poco nota sia a livello nazionale che internazionale, chiunque diffondendola supporta la ricerca di verità e giustizia per Mario come per tanti altri ragazzi archiviati.

Write A Comment