Fuori le finestre della sala, le tinte del paesaggio sono truci, a tratti volgari, una sensazione che non riesce a essere ignorata.
-“Come avete passato queste due settimane?” domanda Nicola.
La terra bruciata è indigesta di rottami, pare urlare pietà.
-“Ho studiato economia aziendale.”
Penso che potrebbe essere un luogo abitato da anime pezzentelle.
-“Un cazzo.”
Le voci dei ragazzi riempiono la stanza di un’energia vibrante, disordinata.
-“Sono arrivata a un punto in cui ho bisogno di fermarmi un attimo, di capire dove sto andando, ma oggi sono tranquilla.”
Seduti in cerchio, pronti a condividere ciò che lo spettacolo ha rappresentato per loro, li ritrovo come li avevo sbirciati nel buio delle prove generali: caotici, irriverenti, bellissimi.

Al Centro Polifunzionale Ciro Colonna di Ponticelli, sede dell’associazione Trerrote, osservo silente gli attori che guidati dal regista e fondatore Nicola Laieta, riconducono assieme l’esperienza de la Lisistrata, portata in scena il 28 gennaio di quest’anno al Piccolo Bellini.

Per la sua ottava edizione, il Teatro Ricerca Educazione e Maestri di Strada ha riproposto lo spettacolo nello storico teatro, nato nell’ambito delle attività del progetto “Dar Lugar! Abitare la Bellezza”, un’iniziativa realizzata grazie al Programma Per Chi Crea, Sezione Formazione e Promozione Culturale nelle scuole, finanziato dal Ministero della Cultura della S.I.A.E.
L’inserimento di Lisistrata nel progetto ha rafforzato il laboratorio educativo, permettendo ai ragazzi di lavorare con artisti come Lino Musella e sperimentare la commedia dell’arte, grazie anche al supporto degli educattori, studenti e attori in formazione. I fondi raccolti dagli spettacoli vengono reinvestiti in nuovi laboratori gratuiti e scambi culturali, con l’auspicio che possano contribuire anche alla ristrutturazione del Centro Polifunzionale, rafforzando il ruolo di spazio di crescita e bellezza condivisa.

«Quando guardo il telegiornale e vedo le notizie dalla Palestina e dall’Ucraina, mi viene naturale reagire. Non si tratta di cambiare il mondo, ma di proporre una riflessione, anche attraverso il divertimento. Il tema della guerra, la morte dei giovani. È un atto istintivo, una reazione alla realtà che ci circonda» mi confessa Laieta.

Conflitto, sesso, reputazione, potere: la Lisistrata è un testo dall’ intelligenza sfrontata. Nata dalla penna di Aristofane e rappresentata per la prima volta nel 411 a.C., la protagonista, colei che scioglie gli eserciti, è alla guida di un gruppo di donne ateniesi e spartane alla volta di una ribellione pacifica. Si negheranno ai mariti fino a quando questi non cesseranno di combattere nella guerra del Peloponneso.
Né carnacce e né rattuse
E né manco ‘nu muccuse
Accostarsi potrà
A ‘stu sacro pertuso
Il dialetto napoletano filtra e restituisce con forza il senso del testo: l’opera smette di essere solo un classico e diventa un’esperienza viva, senza perdere nulla della sua audacia e intelligenza.
Il testo trova naturale dimora nelle voci nelle giovani attrici che padroneggiano le battute con consapevolezza, conferendo loro un significato che va ben oltre le parole stesse. Nei loro sguardi arde una forza atavica, una sfida alla testardaggine maschile, sostenuta solo dalla fermezza del loro essere. Non si tratta di un atto di ribellione, ma di una vera e propria volontà di riscrivere le regole.

I ragazzi sembrano, semplicemente, loro stessi, ed è forse questo l’aspetto più commovente. Pur indossando, in qualche modo, l’armatura del maschio stereotipato, riescono a infondere in quell’ elmo e scudo una tenerezza disarmante, quella di chi accetta la propria vulnerabilità.

Mi domando: può il teatro davvero diventare l’educatore sentimentale di cui, ora più che mai, abbiamo bisogno? Può sostenere i ragazzi nello sviluppo della propria consapevolezza emotiva, dar loro strumenti per comprendere e gestire le proprie emozioni? Osservandoli sento che il loro essere in scena sia, a tutti gli effetti, un atto di resistenza: un momento in cui l’azione si sostituisce all’immobilismo e le parole diventano carne, voce, azione. Se è possibile fare questo sul palco, perché non nella vita quotidiana?

Convincersene non è facile.
«Voglio far capire ai ragazzi che sono parte attiva della società» continua Laieta. «La cosa che più mi scoraggia è quando mi dicono che tanto non si può fare nulla, che è tutto inutile.»
La preparazione dello spettacolo, intrisa di una furiosa battaglia contro lo sfasterio e la possibile delusione, ha rappresentato una grande sfida.
«Molti non credevano che valesse la pena fare qualcosa di serio, anche se si trattava di un teatro importante come il Bellini.»

Dietro ogni esitazione vi è una profonda sfiducia nelle inondanti parole degli adulti, fatte di promesse mancate: un genitore assente, un insegnante disinteressato, un ambiente che non ha mai creduto in loro.
Ma Trerrote è qualcosa di più di un semplice atto scenico: è un’opportunità concreta, un percorso di crescita che permette ai giovani di affrontare sfide che sembrano più grandi di loro, uscendone più forti e consapevoli. Un’occasione per riscrivere la loro storia.
Il Piccolo Bellini è stato riempito per due serate.

Tutt’altro che ingenui, i ragazzi si muovono nella desolazione di Ponticelli come api che conoscono bene il nettare da succhiare. Nel loro sguardo permane l’incanto di chi sa ancora stupirsi e non perde la capacità di essere autentico.
Guardarli durante la riconduzione è stato come assistere allo sviluppo di un gioco, che si intreccia, ti sorprende —ma mai osare definirlo semplicemente gioco. È, in realtà, una questione di straordinaria serietà.
Sul finire della rievocazione, vengono posti oggetti sparsi sul pavimento, che raccontano le ultime sensazioni.
C’è un pastello a cera spezzato, che non tornerà mai alla sua forma originaria, eppure continua a tracciare segni, a colorare. La percezione di ciò che è rotto dipende dallo sguardo con cui lo si osserva: se ci soffermiamo sulla perdita, vediamo solo il danno. Se scegliamo di accogliere la trasformazione, scopriremo una nuova possibilità.
Accanto il pastello, una lattina.
“Io mi sento un po’ accartocciata, come questa Pepsi. Il suo contenuto, l’energia che ci siamo dati in queste settimane, si consuma, ma lascia qualcosa. Abbiamo dato tanto, e abbiamo sofferto. Ora che è finito ci resta addosso una sensazione strana. Come la Pepsi: sappiamo che può fare male, ma il suo sapore ci piace così tanto che, alla fine, ci manca.”


Il paradosso del sentirsi vivi: ciò che sfianca ci nutre, ciò che confonde chiarisce, ciò che trasforma custodisce la nostra essenza.
Accartocciati, ma con il desiderio di trattenere il sapore di ciò che ci ha dato forma. Dipende tutto da come scegliamo di guardare: lasciamo che tutto svanisca nel tempo o cerchiamo di preservare l’essenza?

Lunedì 15 Aprile andrà in scena nuovo spettacolo dell’associazione “Passaggi”, alle ore 21.00 presso il Piccolo Bellini.