Mario ha 35 anni, due occhi azzurri che brillano di vita e una grande passione per l’arte. Mi mostra i suoi disegni. Hanno un tratto marcato, ho l’impressione che comunichino qualcosa su di lui, sulla sua visione delle cose. Inquieta, a tratti ironica, forse triste. Mi chiedo come faccia ad avere una mano così decisa.
Mario disegna trattenendo la matita tra l’indice e il medio, non ha controllo nel movimento del polso. Ha iniziato a disegnare durante uno dei tanti ricoveri trascorsi in Abruzzo. Si ricovera spesso da quando c’è stato l’incidente.
L’incidente è un tuffo fatto dal pontile di Bagnoli nell’estate del 2002. Mario aveva sedici anni ed era andato a mare con gli amici. La giornata era nuvolosa, voleva tornare a casa. Poi per leggerezza, per goliardia, si tuffa una volta, poi un’altra ancora, finché non sbatte la testa sul fondale e resta immobile a galla.
Mario mi fa ridere, una battuta dopo l’altra. Ride di se stesso e mi spinge a ridere di lui, della sua tetraplegia. Non riesco ad imbarazzarmi, nemmeno quando mi rendo conto di aver fatto qualche domanda inopportuna. Mi fa sentire a mio agio ed estremamente vicina a lui. Capisco che poteva capitare a chiunque, a mio fratello, ad un amico, a me, ed è successo a lui. In realtà succede più spesso di quanto immaginiamo. Mario ne conosce tante di storie così. Ha così tanti aneddoti da raccontare e sembra che durante questi anni abbia appreso qualche verità in più sulla vita.
Sono diciotto anni che non cammina, muove un po’ le braccia e riesce a tenere tra le dita la matita o una sigaretta. Ha fatto un lungo lavoro su se stesso per ricominciare a vivere, me lo racconta. Ritorniamo a diciotto anni fa, quando Mario rientra in casa dopo mesi di ricovero in ospedale. Riesco a sentire la pesantezza dell’atmosfera di una casa che sarebbe cambiata per sempre, e non solo per le porte da ampliare, i medicinali, il sollevatore per il letto, ma per quattro vite, quelle di Mario, della madre e delle sorelle, che avrebbero per sempre perso un’incontaminata leggerezza, quella delle infinite possibilità della gioventù.
Però Mario quella leggerezza l’ha ritrovata e la porta dirompente in casa e tra le persone che conosce. Sarà stato il suo carattere, la sua pazienza, la sua intelligenza. Saranno stati gli incontri e gli insegnamenti tratti nel tempo. Saranno stati anche gli amici, così tanti, un’altra famiglia per Mario. Un po’ come un branco che lo sostiene e lo protegge. ricominciato ad avere sogni e fare progetti.
Ha concluso gli studi scolastici e poi si è laureato in Scienze della Comunicazione. Oggi tra una seduta di fisioterapia e l’altra, si chiude nella sua stanza per ore a disegnare, ascoltare musica, guardare film. Mi parla di uno dei suoi preferiti, “Don’t worry”, la storia del vignettista tetraplegico, John Callahan. A settembre ha deciso di iscriversi all’Accademia di Belle Arti. “Mario sei un artista?” lo provoco. “Chi non lo è?” mi sfotte.
In quella stanza ha la sua finestra privilegiata sul mondo. Investe il suo tempo indagando la bellezza delle cose ed è capace di offrirla e restituirla al mondo in una conversazione. Nel quartiere di Fuorigrotta o meglio nella strada dove vive, via Diocleziano, lo conoscono tutti. Mario ha sempre la parola giusta, simpatica, affabile. Si fa volere bene e dai racconti della madre sembra fosse così anche da ragazzo.
Con la madre è dolce, sono compagni di vita. “E’ a lei che deve tutto”, così mi dice. La madre è una donna forte, resistente alla vita. Quello che percepisco dai racconti è che ami il figlio disperatamente. Silenziato il dolore, ha riportato Mario alla vita. Per anni si è occupata di tutto, senza sosta, senza concedersi un momento per se stessa, come solo l’amore di una madre, che non cede alla follia del dolore, può fare. Il legame tra di loro va oltre, è simbiotico, indissolubile. “Mario jamm fumiamoci una sigaretta“. Si stuzzicano, sono complici. Gravitando attorno a loro due sembra sempre di stare sull’uscio di una storia d’amore che è un abisso irraggiungibile.
Ma la madre sta invecchiando, è stanca. Mario non può più gravare su di lei. Lo sa da tempo. Da tempo ha compreso che in qualche modo deve provvedere a se stesso. Ha fondato un’associazione, si attiva, prende contatti. Mario si sta muovendo da anni per l’affermazione del diritto alla vita indipendente. E’ un diritto che concretamente si esercita tramite l’accesso ad un finanziamento a vincolo di scopo che consente al soggetto con disabilità di assumere uno o più assistenti che lo supportino in tutte le sue attività. In altri termini Mario potrebbe avere accesso a dei fondi messi a disposizione dalla regione per pagare una persona che lo aiuti e lo accompagni nella sua quotidianità. L’Italia ha ratificato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità nel 2009, il diritto alla vita indipendente è sancito dall’art. 19. Attualmente è garantito solo in alcune regioni, al Nord e al Centro Italia. Tutto si muove così lentamente qui, al Sud, in Campania, che questa per Mario è una vera e propria lotta. Una battaglia contro il tempo. Forse ha paura di non riuscire a vincerla, ma si arma di pazienza, fa una battuta, e ricomincia a lottare.
Se dovessi pensare ad un eroe, un essere umano in grado di compiere atti di straordinario coraggio, penserei a lui. Come mettersi a nudo. Rifletto sul fatto che mettersi a nudo possa risultare la scelta più semplice e rivoluzionaria per provare a cambiare le cose .Mario lo fa davanti all’obiettivo della macchina fotografica di Paolo. Paolo Manzo è un fotoreporter napoletano che documenta il disagio delle periferie. Si conoscono durante una serata tra amici, nascono subito delle complicità che con il tempo si trasformano in amicizia e poi in un progetto, M, destinato a raccontare la storia di Mario.
Paolo ha un’idea ben precisa: smascherare la disabilità, mostrarla nella sua durezza e nella sua semplicità come condizione umana. Mario, che per vent’ anni ha vissuto e continua a vivere gli sguardi imbarazzati che accompagnano le sue passeggiate in carrozzina, si presta senza riserve . Anche a lui piace l’idea di sdoganare un tabù, ma soprattutto spera che raccontare la sua quotidianità senza filtri aiuti a risvegliare una coscienza collettiva. Mario permette all’obiettivo di Paolo di riprendere qualunque momento della sua vita, perché vuole che sia raccontato l’uomo e che la disabilità venga compresa e non archiviata in una casa, struttura, ospedale. E’ necessario diffondere l’idea che oltre la disabilità ci sia una vita, degna di essere vissuta in pienezza. Una vita fatta di cinema, mostre d’arte, viaggi e realizzazione di sogni.
E’ necessario inquadrarla come condizione di fragilità che può coinvolgere la vita di chiunque, e chiunque dovrebbe poter vivere sentendosi pienamente parte del contesto sociale che lo circonda. Per costruire una società realmente inclusiva, dobbiamo riconoscere e accettare la nostra fragilità umana. Riconoscendola, potremo finalmente costruire un mondo a misura d’uomo, che sappia comprendere e valorizzare le abilità di uomini come Mario.