“Partiamo con una domanda semplice: chi sei?”
“Sono il frutto di un percorso conflittuale, quello che ho vissuto tra la strada che era stata progettata per il mio futuro dai miei genitori con grande amore e ansia e la deviazione che ho dovuto compiere in preda ad una spinta vitale. Il conflitto tra chi è nella vita da un po’ e chi ci è appena arrivato dentro. Dunque sono un economista che ha sempre lasciato un enorme spazio al teatro, vivendo due porzioni di vita così differenti che ne é nata una terza.”
“Perchè parli di tradimento?”
“Perché tradisci l’aspettativa che il genitore inevitabilmente proietta affinchè tu possa continuare il suo “io”. Il peso del tradimento ricade su di te finché non sei in grado di compiere quelle scelte che ti permettono di combinare il principio di realtà con il principio di piacere, in sostanza di muoverti con razionalità per raggiungere ciò che ti fa stare bene. Quando arrivi a queste consapevolezze, ti inizi a liberare un po’ da quel peso. Chiaramente nelle scelte il limite essenziale con il quale ci confrontiamo è quello della morte, più si avvicina a noi, lentamente, mentre viviamo, più raffiniamo il nostro modo di stare al mondo.”
“Ma non pensi che sarebbe stato un tradimento a te stesso non seguire questa spinta vitale?”
“Assolutamente si, ma che cosa rappresenti quel “te stesso” a cui ti riferisci lo maturi nel tempo. La cosa buffa, mentre cresci, è che il sapere è così immenso che quando sei giovane navighi in una galassia di possibilità, di informazioni, di modelli di identificazione, che ad un certo punto, per crescere, devi buttarti. C’è una grande irrazionalità nella vita. Con il tempo, entrando nelle dimensioni razionali della pedagogia e della filosofia funzionali all’educazione, l’ho maturata sempre di più. La mia scelta irrazionale era il teatro, ho cominciato a far sì che questo mondo facesse parte di me a diciassette anni, quando i modelli della letteratura rappresentavano la più grande influenza sulla mia crescita. Compravo il giornale e mi catapultavo sulle pagine della cultura, leggevo solo quelle. Mio padre mi rimproverava per la mia monotematicità.
“Si chiama passione, no?”
“Sì, si chiama passione, però è necessario addentrarsi anche in ciò che è diverso da te. Il ruolo da educatore ti costringe a farlo, perchè ti induce ad uno sforzo di comprensione verso l’altro. Educare significa accogliere altri modelli di pensiero, altre radici culturali, tutto ciò che non ti appartiene e che influenza l’agire degli altri.”
“Ma secondo te l’apertura verso l’altro sopraggiunge in modo razionale o è un’apertura dell’animo?”
“E’ chiaramente un’apertura globale ed è un processo di continuo rispecchiamento, di proiezione continua, nel senso che creiamo relazione più intense con persone che muovono qualcosa di più profondo, siamo tutti quanti dei grandi schermi di proiezione l’uno per l’altro. Anche l’arte è uno specchio per trovare l’altro e se stessi, quindi è un’apertura sia razionale che irrazionale: c’è il genitore e c’è il bambino, c’è l’adulto e c’è l’adolescente, queste figure si accumulano e non vanno via mai”
“Che cosa ti ha dato l’economia?”
“Sono un maestro di strada perché ho studiato economia, proprio per il principio di realtà di cui prima, i Maestri di strada avevano bisogno di finanziamenti per portare avanti i propri scopi pedagogici. Avere competenze in ambito economico mi ha permesso di utilizzare gli strumenti acquisiti per svolgere un lavoro essenzialmente culturale. Diciamo che soffrire, studiando cose che non amavo, mi è servito a comprendere come perseverare nella direzione in cui volevo andare. Mentre ero in tournée con Enzo Moscato per lo spettacolo “Mal-d’-Hamle'”, mentre i miei colleghi uscivano, io passavo le serate sui libri. Caparbietà e perseveranza mi hanno aiutato. Certo, quando mi sono laureato e la mia tesi era incentrata sul mercato di Resina e raccoglieva citazioni di Woody Allen nei titoli, i membri della commissione mi dissero di andare a fare l’attore. Non mi sembrò un complimento.”
“E quindi com’è nata questa terza strada?“
Ho conosciuto Cesare Moreno, ho cominciato a lavorare come progettista al suo fianco e poi sono diventato un maestro di strada. Ho fatto parte di realtà come “Arrevuoto” un laboratorio teatrale con gli adolescenti che portavo avanti sotto la guida di Marco Martinelli. Ho imparato artigianalmente, dall’esperienza di un maestro, come far rivivere il teatro attraverso i più giovani. Così la dimensione educativa ha preso il sopravvento nella mia vita, o meglio, l’ho scelta e ho dato forma a Trerrote, associazione che si occupa di teatro, ricerca ed educazione.
“Che cosa ti ha spinto a dedicarti all’ educazione?“
Da bambino ero molto estroverso e ironico, ma venivo spesso censurato. Con il teatro riuscivo ad emergere, mi sentivo riconosciuto. Per un adolescente il riconoscimento sociale è il massimo, ottieni finalmente un ruolo diverso da quello che ti ha attribuito la famiglia. Nel tempo, però, mi sono sentito un po’ un outsider, non appartenevo a nessun ambiente. In questo mi ha aiutato molto il buddhismo, una cultura che ti spinge ad avere i tuoi obiettivi personali, ti aiuta a correre il rischio di trovare la tua strada, a prenderti la responsabilità di crescere. Il fatto che il mio percorso di crescita sia stato complesso, mi ha fatto appassionare alla crescita degli altri.
“Dunque crescere significa comprendere il valore delle esperienze che viviamo?“
“Bruner parla di pensiero narrativo: l’insieme delle esperienze che facciamo senza che la nostra mente o il nostro cuore ne traggano un significato, non sarebbero altro che un archivio di impressioni. C’è una parte di noi invece che è capace di trarne una dimensione, un segno. Così iniziamo a darci un posto nel mondo, interpretando le esperienze che abbiamo vissuto sulla base dei modelli che ci sono piaciuti, diamo forma alla nostra individualità, a quel linguaggio con cui comunicheremo al resto del mondo.”
“Come si cresce su un palco?“
“E’ necessario creare un luogo intergenerazionale, dove l’adolescente può trovare nuovi modelli di riferimento che risveglino in loro capacità ed energie. Coinvolgerli nel teatro è un modo per fargli mettere in atto lo spettacolo della propria vita: sul palco nascono amori, amicizie, confronti. E’ un luogo dove poter esprimere e comprendere la propria differenza, dove definire la propria identità mettendosi in relazione con altri esseri umani. E i momenti più importanti sono quelli in cui si genera un conflitto, perché è in quei momenti che lasciano venire fuori la loro umanità. La leggerezza dell’adolescenza è ingannevole, la vita di tutti gli esseri umani è un dramma in cui momenti più piacevoli si alternano a momenti estremamente tosti.”
Qual è l’aspetto più soddisfacente del tuo lavoro?
Provare a dare quotidianamente un significato a quello che faccio e portarlo nella vita degli altri. Anni fa ho cominciato a chiedermi che effetto avesse sugli altri ciò facevo, volevo lasciare un segno. Ed è quello che oggi chiedo anche ai ragazzi durante i nostri percorsi: prima o poi se ne andranno, ma è importante pensare a ciò che lasceranno a chi arriverà. E’ chiaro che chi vuole stare davvero a contatto con gli altri e avere un piccolo impatto sulle loro vite, deve avere la capacità di parlare secondo le capacità di comprendere di chi ascolta. E’ fondamentale.
Secondo te quali sono i momenti più important di un percorso di crescita e di vita?
I fallimenti. I fallimenti sono davvero dei momenti meravigliosi in cui puoi riscoprirti e ricominciare, rielaborare quello che abbiamo. Se noi non percepissimo di essere creativi e di poter rielaborare la vita, forse non vorremmo neanche viverla.
Reportage fotografico a cura di Giuseppe Carrella