I recenti fatti di cronaca hanno ridestato preoccupazioni sedimentate già da molto tempo nella memoria storica della nostra comunità nazionale. Episodi di violenza, in particolare, nei confronti di donne legate sentimentalmente ad un partner che si dimostra, nei fatti, carnefice più che amante, soggiogatore più che corteggiatore.
Ci si domanda, sempre più spesso, cosa spinga un ragazzo, nella maggior parte dei casi poco più che ventenne, ad annientare la partner con la rabbia cieca di chi non prova alcun sentimento umano di pietas.
Verosimilmente, non ci si è interrogati abbastanza sul fenomeno, sicuramente non si è agito a sufficienza ed il pensiero comune è: “abbiamo fallito”.
È un senso di frustrazione che ci colpisce in quanto comunità, ove i valori del rispetto, della solidarietà, della virtù sono sfumati, se non addirittura perduti, e ci lasciano con quel senso di amarezza di chi pensa “si poteva fare di più” per evitare tragedie simili. Per capire come combattere (veramente) la violenza di genere partiamo dalle leggi.
Cosa dice la legge?
Dal punto di vista strettamente penalistico, sono vari i reati che possono venire in rilievo quando si parla di violenza di genere: dall’omicidio aggravato dalla premeditazione (art. 577, comma I n. 3 c.p.), alla violenza sessuale (art. 609bis c.p.), dai maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) agli atti persecutori (art. 612bis c.p.). Sono tutte condotte connotate certamente dalla violenza, dalla vessatorietà e dalla sopraffazione.
Il Legislatore, accogliendo le pressanti istanze della società, è recentemente intervenuto con il Disegno di Legge n. 923 del 2023, approvato all’unanimità da entrambi i rami del Parlamento. In particolare, in continuità con i pregressi interventi normativi (a partire dal D.L. n. 93 del 2013), ha introdotto una serie di misure atte ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali cruenti fatti. Ha modificato i tempi di intervento per l’adozione di misure cautelari e misure di prevenzione, finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica o di genere.
In dettaglio, come si legge nel Dossier dell’Ufficio Studi della Camera, il Disegno di Legge apporta alcune modifiche al codice antimafia e delle misure di prevenzione (D. Lgs. 159/2011), estendendo l’applicabilità da parte della autorità giudiziaria delle misure di prevenzione personali anche ai soggetti indiziati di alcuni gravi reati, che ricorrono nell’ambito dei fenomeni della violenza di genere e della violenza domestica.
Le misure di prevenzione
Ad esempio, si intensifica l’uso del braccialetto elettronico, anche nell’ambito delle misure preventive, ossia le misure che si applicano prima della commissione di fatti penalmente rilevanti, al fine di garantire l’osservanza degli ordini di allontanamento o avvicinamento a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione (art. 2).
L’art. 10 introduce, nel codice di procedura penale, un nuovo articolo (art. 382-bis) al fine di consentire l’arresto in flagranza differita, nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori (stalking).
Si interviene, inoltre, in materia di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, nelle ipotesi di gravi comportamenti di violenza commessi in ambito domestico.
Anche fuori dei casi di flagranza, il P.M. può disporre, con decreto motivato, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (art. 11).
L’articolo 14 reca modifiche in materia di informazioni da rendere alla persona offesa dal reato. In particolare, si interviene al fine di estendere l’obbligatorietà dell’immediata comunicazione alle vittime di violenza domestica o di genere circa tutti i provvedimenti di scarcerazione che riguardano l’autore del reato.
Sul fronte educativo
Il legislatore, per di più, incentiva iniziative formative in materia di violenza contro le donne e violenza domestica (art. 6). In particolare, si disciplina la predisposizione di apposite linee guida nazionali, al fine di orientare un’adeguata ed omogenea formazione degli operatori di polizia che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza.
Tra i vari provvedimenti quello che, inevitabilmente, suscita maggiore interesse è la disposizione di cui all’art. 18. In particolare, si prevede che, entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, il Ministro della giustizia di concerto con l’Autorità politica delegata per le pari opportunità devono adottare un provvedimento che disciplini le modalità per il riconoscimento e l’accreditamento degli enti e delle associazioni abilitati ad effettuare corsi di recupero degli autori di reati di violenza sulle donne e di violenza domestica, anche adottando Linee Guida per l’attività di tali associazioni.
Infatti, attraverso questa previsione, il Legislatore si assume una responsabilità non da poco, facendosi carico di incentivare interventi di rieducazione di soggetti che si sono resi protagonisti di fatti violenti.
L’obiettivo, tra i tanti, è quello di un percorso risocializzante del reo, attraverso il quale lo stesso possa recuperare gli strumenti essenziali per la convivenza civile, in modo da evitare che incorra nuovamente in reati, dopo aver scontato la condanna.
E prima? Che misure vigevano?
Gli interventi, brevemente delineati, si pongono sulla stessa scia di provvedimenti meno recenti e soprattutto in linea con il cd. “Codice Rosso” (L. n. 69/2019).
Le normative pregresse prevedevano già alcuni importanti strumenti di tutela, oggi ampliati, come la possibilità di accedere al gratuito patrocinio (assistenza gratuita di un legale) per le vittime di reati di violenza di genere o domestica, anche se la vittima superi i limiti di reddito previsti dalla legge.
Inoltre, era già prevista la possibilità di mettere in contatto la vittima del reato, immediatamente dopo la denuncia del fatto, con i centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio nazione, al fine di garantire sostegno medico, psicologico e legale a persone in istato di particolare vulnerabilità.
Vi erano già, nell’ordinamento, alcuni istituti che consentivano alle vittime di reati violenti di essere ascoltate nel corso del processo in modalità protetta, per evitare il fenomeno cd. di “vittimizzazione secondaria”.
Con il termine si intendono i casi in cui la vittima del reato, nel corso del processo penale, è costretta a rivivere la tragicità dei momenti della violenza.
È così che si può combattere (veramente) la violenza di genere?
Al di là dell’abbreviazione dei termini, sia per la trattazione dei processi, sia per l’adozione di misure cautelari, quello che connota tali interventi legislativi è la poca attenzione della politica ad un tema chiave: la cultura e l’educazione. Il diritto penale è un ottimo strumento per acquietare la pancia dei cittadini.
L’inasprimento delle pene, la rapidità dei processi, gli strumenti cautelari hanno la loro fondamentale importanza per garantire la tutela di soggetti, vittime di gravi reati.
Ma, d’altronde, nulla è più efficace di un penetrante intervento di distruzione di schemi e modelli sociali antiquati e rigidi. Modelli di sopraffazione, di ostilità, di violenza che possono trovare la loro fine solo nelle formazioni sociali in cui vi è il principio dello sviluppo della persona umana: la famiglia e la scuola.
Eppure, già il D.L. n. 93 del 2013, più volte riformato, aveva disciplinato un “piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. Si erano già previste e stanziate, insomma, risorse umane ed economiche per promuovere un’adeguata formazione del personale della scuola ai temi della violenza e della discriminazione di genere.
Si garantivano attività varie di sensibilizzazione, informazione e formazione degli studenti, al fine di prevenire gravi fatti di reato, anche attraverso un’adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo.
Nonostante ciò, ad oltre dieci anni di distanza, stiamo ancora qui a pensare “si poteva fare di più”.