È notizia1 recente che il carcere di Padova ha predisposto, all’interno delle proprie mura, le nuove stanze dell’amore. In particolare, l’Istituto ha deciso di allestire spazi idonei a garantire momenti di riservatezza tra il soggetto detenuto ed il proprio partner (coniuge, convivente o legato da unione civile). Si tratta di una interessante novità sul tema, molto delicato, del diritto all’intimità intramuraria, che non sempre è stata garantita adeguatamente.
La novità ha spinto gli istituti penitenziari, sparsi su tutto il territorio nazionale, ad imbastire dei tavoli di lavoro con tutte le autorità competenti (D.A.P.2 e Magistratura di Sorveglianza), al fine di rendere effettivo tale diritto, attraverso anche l’impiego di considerevoli risorse economiche. Difatti, le inqualificabili condizioni delle carceri italiane, che versano spesso in stato di degrado strutturale, in considerazione anche del sovraffollamento carcerario3, non devono comunque essere ostative alla realizzazione di un diritto fondamentale della persona umana, così come ha chiarito la Corte Costituzionale nella pronuncia che si esaminerà di seguito4.
Ma prima di analizzare che cosa rientra nei diritti di un detenuto, addentriamoci nel concetto di detenzione.
Che cosa implica l’essere in detenzione?
Il detenuto è un soggetto a cui lo Stato nega la libertà personale, in quanto meritevole di pena per la commissione di un fatto particolarmente deplorevole e penalmente rilevante. Si tratta di un soggetto che viene a trovarsi in uno stato di reclusione, ove sono fortemente limitati i diritti fondamentali della persona umana.
Lo stato di detenzione comporta, solitamente, il collocamento del reo negli Istituti Penitenziari, in cui il soggetto viene isolato rispetto al resto della comunità, in quanto ha violato le regole poste a presidio della pacifica convivenza civile.
Gli interpreti, nel corso del tempo, si sono variamente interrogati sulla funzione della pena. Superate, difatti, le remote concezioni della pena come espressione della legge del taglione (“occhio per occhio, dente per dente”), secondo cui la sanzione penale doveva consistere nell’inflizione, spesso fisica, del corrispondente male che il reo aveva arrecato alla vittima del reato, le concezioni più recenti, chiaramente illuminate da una visione antropocentrica e liberale, vanno verso soluzioni più vicine ai moderni standards di civiltà sociale e giuridica, raggiunti dalle democrazie occidentali.
La funzione rieducativa della pena
La teoria accolta nella Carta Costituzionale è legata alla funzione rieducativa della pena, secondo cui il reo, attraverso percorsi risocializzanti (e rieducativi), deve riacquisire gli strumenti minimi necessari per la convivenza civile. L’art. 27 Cost. prevede, difatti, che le pene, in primo luogo, non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, in secondo luogo, devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è, peraltro, ammessa la pena di morte, sanzione non più conforme ai valori cui si ispira la Costituzione Italiana.
La legge sull’ordinamento penitenziario
Al fine di garantire i diritti dei detenuti, ed evitare trattamenti inumani e degradanti, il legislatore, in ossequio ai principi espressi dalla Carta Costituzionale, ha adottato la legge sull’ordinamento penitenziario (L. n. 354/1975), che ha come obiettivo dichiarato quello di conformare ad umanità il trattamento penitenziario dei detenuti, assicurando sempre il rispetto della dignità della persona (art. 1 comma I).
Il trattamento, inoltre, anche attraverso i contatti con l’esterno, deve tendere al reinserimento sociale del condannato ed essere attuato secondo un criterio di “individualizzazione”, in rapporto alle specifiche condizioni sociali ed economiche degli interessati. Ad ogni persona detenuta devono essere garantiti i diritti fondamentali, essendo vietata ogni violenza fisica o morale in suo danno. Inoltre, negli istituti l’ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti delle persone private della libertà5.
Tra i diritti del detenuto c’è anche l’intimità intramuraria
Orbene, considerato che, negli istituti penitenziari, l’ordine e la disciplina sono mantenuti nel rispetto dei diritti della persona detenuta, e non potendo essere adottate restrizioni non giustificabili se non con l’esigenza di mantenimento della sicurezza, ci si è recentemente interrogati sulla possibilità di garantire, anche tra le mura del carcere, il diritto all’intimità del detenuto sia con il coniuge, sia con un soggetto convivente o con lui legato da unione civile (nelle forme previste dalla Legge Cirinnà6).
La questione è stata posta all’attenzione della Corte Costituzionale, in quanto l’art. 18 della predetta L. n. 354/75, che regola colloqui, corrispondenza ed informazione per i detenuti, prevede espressamente, al comma III, che i colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia. Tali locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio (…). In particolare, ci si è chiesti se il controllo a vista, ad opera del personale di vigilanza (Polizia Penitenziaria), non sia ostativo a consentire un rapporto di intimità tra il detenuto ed il colloquiante, andando ad incidere così negativamente su un diritto fondamentale della persona umana, specialmente quando il controllo particolarmente stringente non sia comunque giustificato da alcuna esigenza di sicurezza.
Interrogata sul punto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 10 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, “nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”7.
Dunque, la Consulta ha riscontrato un’evidente violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, in quanto, una disciplina così stringente, ove irragionevole ed ingiustificata nell’applicazione, andrebbe a comprimere la dignità della persona e, per certi aspetti, anche la funzione rieducativa della pena, in un’ottica risocializzante del percorso carcerario. Difatti, il controllo a vista renderebbe pressoché impossibile al detenuto di esprimere l’affettività con la persona a lui stabilmente legata da un vincolo relazionale, quando tale controllo non sia in alcun modo giustificato da ragioni di sicurezza.
La Consulta evidenzia, con l’eleganza che la contraddistingue nella stesura delle sentenze, che “l’ordinamento tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”.
Il presidio visivo degli operatori del Corpo di Polizia Penitenziaria andrebbe obiettivamente a restringere eccessivamente lo spazio di espressione dell’affettività, anche sessuale, tra il detenuto ed il partner per la naturale intimità che questa effettivamente richiede.
Con tale pronuncia, la Corte, pone una luce nuova sul diritto all’intimità ed all’affettività intramuraria del detenuto, rappresentando come esso costituisca diritto fondamentale della persona umana, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali (in particolare la famiglia) in cui si sviluppa la sua personalità. Invero, proprio al fine di garantire un percorso risocializzante e rieducativo, al detenuto deve essere consentito di mantenere relazioni stabili con i soggetti che vivono al di fuori delle mura carcerarie.
La Consulta va oltre, evidenziando che limitare, eccessivamente ed irragionevolmente, tali diritti fondamentali ha ripercussioni non di poco momento anche sulle “persone che, legate al detenuto da stabile relazione affettiva, vengono limitate nella possibilità di coltivare il rapporto, anche per anni”. Ciò comporterebbe una compressione ingiustificata anche dei diritti dei soggetti completamente estranei al reato ed all’esecuzione della pena, ma, appunto, legati sentimentalmente al reo detenuto.
Tutto ciò è, d’altronde, possibile sempre se “il tenersi lontano da occhi indiscreti” non vada ad inficiare ingiustificatamente le ragioni di disciplina, ordine pubblico e sicurezza dell’istituto penitenziario.
Invero, la Corte evidenzia come una pena che impedisca al condannato di esercitare l’affettività nei colloqui con i propri familiari rischia di rivelarsi, addirittura, inidonea ai fini rieducativi e potrebbe portare, dunque, alla cd. “desertificazione affettiva” che è l’esatto opposto della risocializzazione. “L’impossibilità di coltivare i rapporti, nella intimità che obiettivamente richiedono, potrebbe condurre alla dissoluzione totale dei legami” e potrebbe comportare un isolamento sociale, soprattutto nel periodo post-carcerario, assolutamente incompatibile con la funzione principale del sistema sanzionatorio: la rieducazione e risocializzazione del condannato.
La Corte, in poche ma significative pagine, si esprime favorevolmente alla funzione rieducativa dell’amore. Il più profondo dei sentimenti umani è utile a non annichilire completamente la personalità del condannato, consentendogli di rendere agevole il suo ritorno alla libertà ed agli affetti, soprattutto familiari.
- Notizia pubblicata sui principali organi di stampa: Ansa.it ↩︎
- Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ↩︎
- L’Associazione Antigone, al 29 dicembre 2023, ha fornito i seguenti dati: “i detenuti sono 60.000, oltre 10.000 in più dei posti realmente disponibili e con un tasso di sovraffollamento ufficiale del 117,2%, con una crescita nell’ultimo trimestre (da settembre a novembre 2023) di 1.688 unità. Nel trimestre precedente di 1.198″ – tratto da antigone.it ↩︎
- Corte Costituzionale, sent. n. 10/2024 ↩︎
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 – Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà ↩︎
- Legge 20 maggio 2016, n. 76 – Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze ↩︎
- Corte Costituzionale, sent. n. 10/2024 ↩︎