Il tema dell’accoglienza è, da decenni, al centro di aspri dibattiti politico-sociali e spesso ha orientato, in senso diametralmente opposto, le campagne elettorali delle compagini politiche progressiste e conservatrici. Oggi lo scontro si sta spostando anche sul piano giuridico.
Il Governo, sin dalla sua costituzione, ha manifestato la volontà politica di occuparsi in maniera autorevole del fenomeno, facendone uno dei punti essenziali del proprio programma. Ciò che è emerso, in particolare, è la volontà di giungere a soluzioni efficaci a fronte delle richieste di asilo degli extra-comunitari. Gli interventi normativi mettono in evidenza un messaggio chiaro: chiudere le frontiere a quei soggetti che non fuggono da guerre e/o da persecuzioni.
Le soluzioni del Governo Meloni
Nel 2015 sono nati gli hotspot (lett. punti caldi) per gestire e coordinare, anche sul piano europeo, il fenomeno migratorio. Il sistema ha incontrato delle criticità non indifferenti, sia per il numero di migranti che, in alcuni periodi, superava di gran lunga il numero di posti a disposizione nei centri, sia per l’intempestività delle procedure di ingresso nel paese di destinazione. Ulteriore complicazione si è manifestata nella gestione dei minorenni che necessitano di tutori legali e, di conseguenza, un occhio più vigile circa il loro inserimento nel nuovo contesto sociale. ( Per approfondire il sistema degli hotspot leggi qui ).
Il rimpatrio veloce
L’attuale maggioranza di Governo è intervenuta sul sistema, rafforzando la procedura per il cd. “rimpatrio veloce”, con l’intento di garantire la rapidità di intervento e di risposta, oltre la snellezza nell’iter per la richiesta di protezione internazionale.
A tal proposito, sono stati predisposti appositi centri di accoglienza, che consentono di soggiornare in attesa che l’autorità amministrativa esamini e valuti la richiesta di asilo. Qualora la richiesta dovesse trovare risposta negativa, il richiedente può essere costretto a far ritorno al proprio paese di provenienza, senza mai aver fatto effettivo ingresso nel paese di approdo.
Uno dei primi interventi concreti è stata l’apertura del centro “per i rimpatri veloci” di Pozzallo. Il piccolo comune del ragusano, in Sicilia, ospita dal settembre 2023 un centro con una capienza di circa 300 posti. È nato per garantire la rapidità nella risposta a quei soggetti che provengono dai cd. “paesi sicuri”, ossia quei paesi ove sono garantiti i diritti fondamentali della persona umana, non vi siano conflitti bellici in atto, persecuzioni a danno di minoranze etniche e/o religiose, non vi siano episodi di intolleranza razziali e/o nei confronti di soggetti omosessuali.
L’ accordo con l’Albania
A seguire, la volontà politica di trovare nuove e più pregnanti soluzioni al fenomeno ha indotto lo stato italiano a stipulare un accordo internazionale con il Governo albanese. In particolare, la convenzione prevede la costruzione di hub all’interno del territorio al di là dell’Adriatico, ove le autorità italiane, anche a seguito di soccorso in mare, sono autorizzate a trasferire i migranti che hanno intenzione di entrare in Italia attraverso una richiesta di protezione internazionale (cd. asilo).
Il trattenimento, consistendo in una limitazione della libertà personale costituzionalmente garantita (art. 13 Cost.), non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per l’analisi della richiesta di asilo, e non può, in ogni caso, superare le quattro settimane (D.lgs. n. 142/2015).
Il migrante ha il diritto, attraverso un legale, di depositare la propria richiesta di asilo e contestualmente impugnare l’atto di trattenimento. Qualora l’istanza di protezione internazionale dovesse ricevere riscontro positivo il soggetto è autorizzato ad entrare in Italia.
Ciò avviene nelle ipotesi in cui il paese di origine sia attraversato da una situazione di grave instabilità politica e sociale, vi siano gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona umana, persecuzioni e/o stati di dissesto politico, quali colpi di stato. Viceversa, nell’ipotesi in cui il soggetto dovesse provenire da un paese definito “sicuro” si procederebbe al cd. “rimpatrio veloce”, senza che il migrante abbia, così, mai fatto ingresso in Italia.
La posizione dei Tribunali Italiani
È in questo contesto che si sono pronunciati i giudici dei Tribunali italiani che, uniformandosi ad una recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, hanno ritenuto ingiustificato il trattenimento del soggetto richiedente asilo presso i vari centri di accoglienza ed hanno, di conseguenza, imposto l’immediato rilascio del soggetto immigrato.
Le recenti pronunce sono intervenute sul tema, tracciando anche la definizione di paese “parzialmente sicuro” (nozione che non è piaciuta agli esponenti del Governo), da intendersi come quella nazione in cui su una parte del suo territorio i diritti della persona non sono adeguatamente rispettati ovvero vi siano persecuzioni nei confronti di pochi e determinati gruppi sociali (ad es. appartenenti ad una comunità religiosa di minoranza).
I giudici, per di più, hanno anche evidenziato come la normativa europea in materia di protezione internazionale, così come chiarito anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, richieda un obbligo di valutazione “caso per caso” in capo all’autorità giudiziaria procedente.
Nelle pronunce che hanno fatto particolarmente discutere, e che hanno avuto un’eco mediatica di indubbio rilievo, i giudici, valutando i presupposti per il trattenimento nei centri di accoglienza del richiedente asilo, hanno ritenuto che il migrante provenisse da un paese da considerarsi “non sicuro”, o almeno “parzialmente insicuro”. In questi casi, non potrebbe trovare applicazione la procedura di “rimpatrio veloce”, non potendo l’autorità amministrativa rispedire il soggetto nel paese di provenienza con la procedura accelerata. In questi casi, difatti, il trattenimento del migrante nelle strutture di ricezione sarebbe del tutto ingiustificato, in considerazione del fatto che l’autorità pubblica non potrebbe emanare un provvedimento di rimpatrio immediato nei confronti di un soggetto proveniente da un paese ove siano acclarate gravi violazioni dei diritti umani, quali anche imitazioni del diritto di pensiero, di parola e della libertà di stampa (come ad es. in Egitto).
Pertanto, la convalida o meno del trattenimento dell’extra-comunitario presso le strutture di ricezione, ivi collocato “in attesa” della richiesta di asilo, deve necessariamente passare per una valutazione dell’autorità giudiziaria che, nelle ipotesi esaminate, potrebbe non convalidare la limitazione della libertà personale. Ciò avverrebbe allorquando, sulla base delle informazioni provenienti da organi accreditati, il giudice accerti che il soggetto provenga da paese di origine “non sicura” o “parzialmente insicura”, valutando, così, assolutamente ingiustificato il trattenimento del soggetto. Quest’ultimo, non potendo essere rimpatriato “immediatamente” in un paese ove sia accertata una sistematica violazione dei diritti umani, deve necessariamente essere condotto nel nostro paese. Tale circostanza, a parere dei giudici che si sono pronunciati sul punto, rende del tutto privo di giustificazione il suo trattenimento presso gli “hub” di accoglienza.
La risposta del Governo
Il Governo, dinanzi a questa tendenza, ha deciso di intervenire con il D.L. n. 158/24 attraverso il quale ha stilato una lista di paesi sicuri, senza prevedere alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali. L’intento del Legislatore è quello di vincolare l’attività di interpretazione giudiziaria, evitando che il giudice potesse effettuare, nei casi sottoposti alla sua attenzione, valutazioni “caso per caso”.
L’intervento normativo, per il momento, non sembra aver sortito gli effetti sperati, in considerazione del fatto che, vigendo il principio di primazia del diritto dell’Unione Europea, il giudice può non applicare la normativa italiana in contrasto con le leggi euro-unitarie e, in particolare, con le normative direttamente applicabili nell’ordinamento interno, che si occupano di protezione internazionale. Disposizioni quest’ultime che impongono, in qualche modo, la valutazione obbligatoria ed ex officio da parte dei giudici circa il carattere di sicurezza o parziale sicurezza del paese di origine del migrante.
Il conflitto tra Governo e Magistratura sul tema dei migranti mette in luce una realtà complessa, in cui si intrecciano interessi politici, esigenze di sicurezza e diritti fondamentali della persona umana. Mentre da una parte il Governo cerca soluzioni rapide e incisive per gestire i flussi migratori, dall’altra la Magistratura continua a difendere i principi di legalità e di tutela dei diritti umani. In questo scenario, il rischio è che il dibattito venga polarizzato, senza giungere a un compromesso che permetta di coniugare sicurezza e accoglienza in modo equo e sostenibile. Il futuro della gestione migratoria in Italia dipenderà quindi dalla capacità di trovare un equilibrio tra l’autorevolezza politica e il rispetto delle norme giuridiche, in un contesto che resta profondamente segnato dalla divisione e dalla tensione sociale.
La vera sfida sarà, dunque, riuscire a superare questa frattura e trovare un equilibrio che non solo affronti le emergenze, ma garantisca anche il rispetto dei valori fondanti del nostro ordinamento giuridico, evitando che il dibattito sull’immigrazione diventi una mera arma politica, e non invece il motore per costruire un sistema che coniughi sicurezza, giustizia e umanità.