Negli articoli precedenti abbiamo provato a interrogarci su quale impatto potrebbe avere il complesso fenomeno della migrazione sul mercato del lavoro locale, soffermandoci in particolare sul mercato irregolare. (leggi qui)

Nell’ambito di questa analisi diviene rilevante approfondire perché molti migranti si ritrovino a lavorare a nero e una delle determinanti principali sembra essere la mancanza di uno status regolare sul territorio. Non vi sono cifre certe sul numero di migranti irregolari, un dato indicativo ci viene offerto dalla Fondazione Ismu, che stimava la presenza di circa 519 mila migranti irregolari al 1° gennaio 2021.

Negli ultimi trent’anni le stime sulla presenza di immigrati irregolari in Italia hanno riportato numeri altalenanti, sia a causa di movimenti migratori in sé sia a causa delle politiche in tema di immigrazione adottate dai governi che si sono susseguiti in questi trent’anni.

Il Sistema di accoglienza

Un fattore che influenza direttamente il numero di immigrati irregolari in Italia è sicuramente il suo sistema di accoglienza: attraverso un certo iter burocratico e geografico i migranti sono destinati a ottenere uno status di regolarità (o di converso uno stato di irregolarità). 

Cambiamenti in questo iter possono comportare un aumento o una diminuzione nel conteggio degli irregolari. Ad esempio, l’allungamento dei tempi burocratici per ottenere lo status di rifugiato o un permesso di soggiorno possono aumentare nominalmente la quota di irregolari presente sul territorio, anche se questi fossero comunque destinati ad ottenere lo status di regolarità. Un altro elemento che può influenzare lo stock è un cambiamento nella definizione dello stesso “status di regolarità” quando vengono limitate o ampliate le condizioni in base alle quali si può godere di questo diritto.

Entrambi gli esempi che abbiamo riportato poco sopra si sono verificati negli ultimi anni, andando a complicare un sistema di accoglienza dalla natura emergenziale. Per concentrarci sulle modifiche che lo hanno appesantito è però necessario prima avere un quadro chiaro del sistema e del funzionamento.

Il sistema di accoglienza in Italia è caratterizzato da due livelli: c’è infatti la cosiddetta “prima accoglienza”, che comprende gli hotspot e i Centri di Prima Accoglienza (CPA) dove sono erogati solo servizi di base (primo soccorso etc.); al livello successivo c’è la “seconda accoglienza” che si realizza, nei limiti dei posti disponibili presso strutture del “Sistema di accoglienza e integrazione” (SAI, ex Sprar), gestite dagli enti locali. In parallelo al sistema principale composto da due livelli c’è un sistema “emergenziale”, formato da strutture temporanee appositamente allestite, e cioè i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). A chiudere il quadro ci sono i Centri Per il Rimpatrio (CPR), allestiti per i migranti che aspettano di essere rimpatriati nel loro Paese d’origine. 

Vediamoli in dettaglio.

Hotspot

Gli Hotspot caratterizzano l’accoglienza di cittadini stranieri soccorsi in mare: nati nel 2015 in ragione degli impegni assunti dal governo italiano con la Commissione Europea, a seguito della crisi umanitaria scaturita dai disordini in Siria, che ha provocato un aumento vertiginoso del numero di sbarchi sulle coste italiane. I migranti soccorsi vengono condotti in centri localizzati nei pressi delle aree di sbarco per la prima assistenza sanitaria, il fotosegnalamento e la pre-identificazione. Qui avviene il primo scambio di informazioni sulle procedure per l’asilo, provando a differenziare irichiedenti asilo dai cosiddetti migranti economici, che saranno avviati ai centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare. Sul territorio sono presenti quattro punti Hotspot, localizzati a Lampedusa (AG), Pozzallo (RG), Messina e Taranto, e possono ospitare fino a 1.500 persone.

Centri di Prima Accoglienza

Chi ha fatto richiesta di asilo viene trasferito presso i centri governativi dove viene avviata la procedura di esame della richiesta di asilo. In questi centri devono anche essere accertate le condizioni di salute degli ospiti, con il fine di verificare eventuali situazioni di vulnerabilità. In queste strutture trovano quindi accoglienza i richiedenti asilo, anche se con servizi ridotti al minimorispetto a quelli garantiti in precedenza, a causa del decreto 20/2023, che ha eliminato dai centri governativi i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio. Restano attive l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale. Oltre alla qualità, anche la quantità posti disponibili in questi tipi di Centro è diminuita, dato che il sistema di accoglienza ordinario è passato in secondo piano rispetto al sistema straordinario. Come si evince anche dalla posizione geografica, questi centri non sono pensati solo per accogliere i migranti giunti via mare, ma anche per ospitare i cittadini extracomunitari provenienti dalla “Rotta Balcanica”. I centri sono situati Bari; Brindisi; Isola di Capo Rizzuto (KR); Gradisca d’Isonzo (GO); Udine; Manfredonia (FG); Caltanissetta; Messina; Treviso.

Sistema di Accoglienza e Integrazione (SAI)

Fino al 2018, il Sistema di Accoglienza e Integrazione prendeva il nome di Sprar. Lo Sprar era strutturato nel seguente modo: una rete di enti locali, attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi di asilo (Fnpsa), garantiva asilo temporaneo a coloro che avevano fatto richiesta o a chi aveva già ottenuto lo status di rifugiato. Gli accordi erano raggiunti attraverso un dialogo tra il governo centrale e i singoli comuni. 

Il sistema non si limitava a un’accoglienza meramente assistenziale, ma era volto ad integrare le persone nel territorio attraverso la diffusione di piccoli centri, che sviluppavano progetti personalizzati. Dal 2018, l’accoglienza in questi tipi di centro è stata circoscritta soltanto a coloro che sono già titolari di protezione internazionale, e cioè hanno già ottenuto lo status di rifugiato, o minori non accompagnati. Non sono più ammessi dunque cittadini stranieri che hanno fatto domanda per ottenere lo status, ma che ancora non hanno ricevuto una risposta positiva.

Nonostante questo sistema sembri funzionare molto bene in termini di integrazione, la sua diffusione non è aumentata nel corso degli anni: nel periodo che va dal 2014 al 2021 sono rimasti abbastanza stabili in numero, oscillando tra i 4.100 e i 4.500 centri su tutto il territorio. L’aumento dei flussi migratori non ha avuto influenza sugli SPRAR, che tra il 2014 e il 2021 hanno ospitato tra i 20.000 e i 25.000 migranti. 

C’è da chiedersi quindi come sia stato possibile far fronte all’emergenza migratoria che dal 2014 al 2017 ha suscitato preoccupazioni in tutta Europa, mettendo addirittura in discussione gli accordi internazionali firmati dai Paesi dell’Unione Europea.

Se gli Sprar (Sai) non sono aumentati, né tantomeno è aumentata la loro capacità, dove sono stati accolti i migranti sbarcati sulle coste italiane?

La risposta del governo alla crisi si è avuta attraverso la creazione di Centri di Accoglienza Straordinaria, noti semplicemente come CAS.

I centri di accoglienza straordinaria

Questi, infatti, sono stati attivati dalla fine del 2014 proprio per far fronte agli enormi flussi migratori  originati dal conflitto siriano. Inizialmente pensati come centri di emergenza che avrebbero dovuto fungere da “anticamera”, in attesa di posti disponibili nei centri SPRAR, successivamente sono diventati il modo ordinario per accogliere i migranti in Italia. Questa evoluzione è testimoniata dall’enorme variabilità nei numeri dei CAS, rispetto alla stabilità degli Sprar: significa che, anche quando l’emergenza è rientrata nel 2018 (a seguito del memorandum Italia-Libia), il governo non ha spinto per aumentare la capcacità degli Sprar, ma ha piuttosto preferito continuare a utilizzare i CAS come una sorta di fisarmonica. Anche le modalità di apertura dei CAS sono differenti: l’apertura di un centro avviene attraverso l’indizione di una procedura d’asta; le prefetture di una provincia richiedono la disponibilità degli operatori economici (ONG o imprese) ad aprire un centro. Se uno degli operatori si aggiudica l’asta, può dare inizio all’attività di accoglienza. Quindi, a differenza degli Sprar, I comuni non sono coinvolti nel processo. L’unico discrimine per l’apertura è che il numero di rifugiati deve essere proporzionale alla popolazione della provincia.  Qui, i servizi di assistenza psicologica, i corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio non sono garantiti come negli Sprar. Molto dipende dal tipo di organizzazione che si aggiudica la vittoria del bando, dalla possibilità di ottenere margini di profitto e dall’etica del lavoro dei vincitori stessi. Oltre all’accoglienza materiale, dunque, rimangono garantiti solo l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e la mediazione linguistico-culturale.

Per dare un’idea di quanto i Centri Straordinari siano diventati la normalità, nel 2018 i CAS potevano ospitare 125.234 richiedenti asilo, mentre gli SPRAR e i PRC potevano occuparsene solo 33.756.

Ma cosa succede se i richiedenti asilo non rispettano la permanenza nel CAS? Loro sono liberi di spostarsi al di fuori del centro, ma se non si presentano dopo un certo periodo, gli operatori del CAS possono avvisare le autorità locali. I richiedenti asilo perdono il loro status e possono essere inviati ai centri di rimpatrio per essere rimpatriati.

Centri per il Rimpatrio

Questi sono centri di detenzione per cittadini stranieri che sono in attesa dell’esecuzione di ordini di espulsione. La capienza totale di questi centri ammonta a 1.100 posti, e le condizioni all’interno sono terribili. Diversi report hanno indirettamente documentato che all’interno di tali centri i contatti sociali sono ridotti al minimo; le condizioni igieniche sono scadenti; le celle sono sovraffollate; si sono verificati diversi casi di tentato suicidio e autolesionismo.

Il collegamento tra sistema di Accoglienza e la condizione di immigrazione irregolare

Se è vero che il sistema riesce ad accogliere i migranti sbarcati sulle coste, la sua tenuta nel lungo periodo è messa in discussione. Capita infatti che i tempi per valutare le richieste di asilo si allunghino, così che il soggiorno standard di un richiedente in un centro di accoglienza ecceda i sei mesi dopo i quali, teoricamente, si dovrebbe ricevere una risposta. 

Inoltre, il problema principale è che non si riesce a far fronte al numero di ordini di rimpatrio emanati dalle autorità competenti. In teoria, le richieste di soggiorno che non vengono accolte dovrebbero far scattare l’ordine di rimpatrio, ma i CPR non sono attrezzati per gestire la mole di ordini emanati (ogni anno quasi la metà delle richieste viene rigettata).

Ad esempio, nel 2019 sono state rimpatriate 2.992 persone su 6.172 transitate nei CPR, nel 2020 2.232 su 4.387, nei primi dieci mesi e mezzo del 2021 poco più di 2.200 su circa 4.500. Sono numeri molto modesti se confrontati agli oltre 500mila migranti irregolari attualmente presenti nel paese. L’altra metà delle persone transitate dai CPR dopo tre mesi solitamente torna in libertà, e quindi torna a stare sul territorio italiano da irregolare.

Uno dei motivi per cui i rimpatri non funzionano è la mancata collaborazione dei paesi d’origine dove dovrebbero tornare i migranti irregolari. La procura di competenza si rivolge ai paesi indicati dai migranti e chiede loro di riconoscerli come propri cittadini, ma spesso i paesi in questione si rifiutano di farlo.

Il gap tra le effettive possibilità del governo di rimpatriare e gli ordini di rimpatrio stessi fanno sì che il sistema si intasi come un imbuto troppo stretto, portando a una situazione paradossale: i migranti irregolari non possono rimanere nei centri per più di 180 giorni. Allo stesso tempo, se la domanda viene respinta e il migrante irregolare fa ricorso, allora il periodo all’interno di un CPR può prolungarsi finché il giudice non si sarà espresso sul ricorso, fino a un massimo di 12 mesi, nonostante in quel periodo non esista legalmente la possibilità del rimpatrio. Al termine della detenzione sono lasciati liberi sul territorio, senza però nemmeno ricevere la garanzia di poter tornare nei centri di accoglienza. 

Molti migranti che non hanno ottenuto il permesso non vengono neanche indirizzati ai centri per il rimpatrio, e dopo aver ricevuto la notifica di negazione della domanda diventano automaticamente irregolari sul territorio italiano, senza contare coloro che si ritrovano dal principio in una condizione irregolare, poiché non hanno seguito l’iter prestabilito.

Un sistema di accoglienza confusionario

Le procedure di accoglienza sono regolate da diversi testi normativi che si sono stratificati nel tempo e che sono stati modificati più volte, così da renderne la comprensione, sia per i migranti che per i cittadini che per gli operatori stessi, confusionaria. Insomma, i problemi che ciclicamente emergono in merito all’accoglienza, di cui si parla ormai da anni, mettono in risalto un sistema farraginoso ed emergenziale, pronto a incepparsi al minimo ritardo. Un ritardo che però fa parte dell’ordinario, così come la presenza dei CAS, nati come misura emergenziale e diventati una realtà del territorio. Il risultato di questo sistema è la presenza sul territorio di persone che non godono di uno status giuridico, ma che sono costrette a vivere o a spostarsi senza alcun tipo di garanzia.

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