Nel precedente articolo (che puoi leggere qui ) abbiamo cercato di capire a grandi linee il funzionamento del mercato del lavoro per gli immigrati, che si muove su binari diversi rispetto al mercato del lavoro “classico” per il semplice fatto che i soggetti a cui si rivolge sono sottoposti a vincoli legislativi, geografici e socioculturali differenti rispetto ai lavoratori locali. Per questo motivo è necessario approfondire questa tematica, di cui abbiamo soltanto grattato la superficie.

Un primo elemento di cui tener conto nel contesto migratorio è la distinzione tra mercato del lavoro regolare e irregolare poiché le condizioni di contesto rendono complicato un pieno inserimento del migrante nella società di destinazione.

Cosa si intende per lavoro irregolare o “lavoro nero”?

Una comunicazione della Commissione europea definisce il lavoro irregolare come «qualsiasi attività retribuita lecita di per sé ma non dichiarata alle pubbliche autorità, tenendo conto delle diversità dei sistemi giuridici vigenti negli Stati membri». I lavoratori che presentano le più elevate probabilità di finire nella spirale del lavoro nero sono coloro che svolgono un secondo lavoro, gli inattivi (studenti, casalinghe), i disoccupati e gli immigrati clandestini. Spesso però anche stranieri giunti sul territorio in maniera regolare possono ritrovarsi a lavorare in nero, poiché le complicazioni burocratiche esacerbano le difficoltà che i migranti devono affrontare per rimanere in una situazione regolare.

Perché esiste il lavoro irregolare?

Le ragioni dell’elevato numero di immigrati nel sommerso sul totale dei lavoratori irregolari sono diverse, poiché diverse sono le vie che portano all’irregolarità lavorativa. Ad esempio, poiché spesso non c’è corrispondenza tra le norme di ingresso e la domanda di lavoro, le complicazioni burocratiche esacerbano le difficoltà che i migranti devono affrontare per rimanere in una situazione regolare, cosicché immigrati regolari si trasformino presto in immigrati irregolari. In generale, le giustificazioni per la presenza di lavoro irregolare sul territorio possono far capo a due filoni differenti: come sempre parliamo di domanda e offerta di lavoro.

Domanda di lavoro

Le motivazioni all’impiego di personale in nero vanno principalmente ricercate nella volontà degli imprenditori di risparmiare sulle diverse componenti del costo del lavoro. Una delle conseguenze del lavoro nero è che chi ricorre al sommerso incrementa i profitti risparmiando su tasse e contributi sociali (pensione, assicurazione, ecc.).

Offerta di lavoro

Più complessa è la questione del lavoro nero in relazione all’offerta di lavoro. Distinguiamo due condizioni diverse: quella di clandestini e overstayers – per i quali l’unica via praticabile è il lavoro nero – e quella di molti cittadini comunitari ed extracomunitari dotati di valido permesso di soggiorno che possono essere comunque coinvolti. L’immigrato regolare può preferire il lavoro nero nel caso in cui non intenda rinunciare alla percezione di eventuali sussidi o voglia massimizzare il guadagno.

Difficoltà nella misurazione del lavoro irregolare

Pur sapendo che l’impiego irregolare dei migranti è molto diffuso sul territorio italiano, resta difficile ottenere una stima precisa dei numeri reali di tale fenomeno: la misura e l’analisi dell’inserimento lavorativo dei migranti in un contesto lavorativo “in nero” comporta la doppia difficoltà determinata dalla necessità di stimare da una parte la dimensione del valore economico prodotto da questo tipo di economia, e d’altra parte quella degli stranieri in essa occupati, non sempre regolarmente presenti sul territorio e molto mobili su di esso.

Le stime più recenti dell’Istat danno un’idea dell’incidenza del lavoro nero in Italia, senza però distinguere tra lavoro irregolare migrante e locale.

È comunque dimostrato che tra il 10 e il 15 percento delle migrazioni ha oggi una natura irregolare, sia relativamente all’ingresso nel paese di destinazione che allo status lavorativo.

I settori più colpiti

Rispetto ad altri stati anche all’interno dell’Unione europea, che richiedono manodopera altamente professionalizzata dall’estero, l’Italia è un paese che ricerca forza lavoro poco qualificata. Per questo motivo, gli stranieri residenti nel nostro paese si trovano spesso a lavorare in settori come quello agricolo e domestico. L’agricoltura vede un contributo determinante da parte di immigrati in condizione di irregolarità. Gli stranieri a essere impiegati in questo settore sono circa 358mila (comunitari e non) e la loro partecipazione è aumentata negli ultimi anni. Un impiego così alto di manodopera straniera nasce dall’esigenza sopperire alla carenza di quella autoctona attraverso la sostituzione dei lavoratori italiani con gli stranieri. I principali problemi di questo comparto sono il lavoro nero e il caporalato [Pittau, 2011].

In Italia, nel 2018, si attestava il 12,7% di tutti i lavoratori agricoli irregolari dell’Ue, e le verifiche condotte dall’Ispettorato del Lavoro (2020) hanno riscontrato un tasso di irregolarità pari al 58% (con un leggero calo rispetto all’anno precedente, quando si attestava al 59,3%): l’agricoltura era il settore in cui, sul totale dei lavoratori non regolari, la quota più elevata risultava essere completamente in nero. Il settore agricolo, infatti, ha conosciuto un incremento del sommerso, in controtendenza rispetto agli altri settori in Italia, considerando che il tasso d’irregolarità è aumentato di oltre 4 punti percentuali (nel 2000 si attestava al 30,5%).

Anche la pratica del lavoro “grigio”, con la quale viene dichiarata solo parte delle effettive giornate lavorative (utili, magari, al raggiungimento dei requisiti per l’indennità di disoccupazione), risulta molto diffusa.

Il settore agricolo presenta poi altre criticità, le quali rendono il fenomeno del lavoro irregolare dei migranti particolarmente problematico rispetto ad altri settori.

Il caporalato

In agricoltura – settore maggiormente soggetto alla stagionalità del lavoro – è maggiormente diffusa la forma più odiosa e degradante di lavoro nero che vede gli stranieri vittime di sfruttamento, lavorando in condizioni disumane, sottopagati e privi di protezione per gli infortuni sul lavoro.

L’agricoltura è il primo settore per vittime di sfruttamento, che toccano il 18,6% dei lavoratori secondo i dati Inl del 2020 (cifra che cala al 4,2% nel caso dell’industria, allo 0,6% nel terziario e allo 0,5% nell’edilizia). Nel settore agricolo il fenomeno di sfruttamento prende il nome di caporalato, una forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, attraverso intermediari (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali.

Recenti studi, che hanno utilizzato nel database news giornalistiche, hanno mostrato che in Italia il fenomeno del caporalato è stato rafforzato dalla persistenza su alcune zone del territorio di un’ideologia che abbia enfatizzato l’assoggettamento delle persone di colore: è stato mostrato ad esempio che nelle aree che furono soggette al programma di bonifica fascista, dove la propaganda del pensiero estremista era più forte, lo sfruttamento del lavoro nero negli ultimi decenni era nettamente maggiore rispetto ad aree meno coinvolte da quel tipo di politiche.

Gli altri settori colpiti dal lavoro irregoalare

Nonostante l’agricoltura sia pervasa dalla presenza del lavoro nero, e in particolare da quello migrante, il fenomeno è diffuso anche in altri settori: ad esempio nel settore industriale, il ruolo delle costruzioni, dove le basse qualifiche e la dispersione dei cantieri sul territorio facilitano il ricorso ad una quota di lavoro non regolare significativa.

Il settore dei servizi, invece, è colpito dal fenomeno del lavoro non regolare in misure differenti a seconda dei comparti. Il tasso di irregolarità è particolarmente alto nel commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni. Tuttavia, le attività in cui più si concentra il lavoro irregolare sono, i servizi alle persone (collaboratori domestici, badanti, colf), la ristorazione e le attività ricreative, i servizi di pulizia e quelli di trasporto.

La massiccia presenza di lavoro migrante nel settore informale delle nostre società è un campanello d’allarme forte e chiaro. Non dobbiamo credere che scompaia in seguito allo sviluppo economico nazionale o comunitario, relegandolo a una semplice manifestazione delle attività rurali. Come mostrato dagli studi sul caporalato, il lavoro nero e lo sfruttamento della manodopera sono frutto di una cultura storica difficile da sradicare col solo sviluppo economico.

Fonti:

[P. Lucci, P. Martins (2013), “Labour Migration and Development Indicators in the Post‐ 2015 Global Development Framework”, in IOM, Migration and the United Nations Post-2015 Development Agenda, Ginevra]

[elaborazione OpenPolis di dati Istat]

[centro studi Idos]

[rapporto Organizzazione internazionale per le migrazioni, 2010]

[Carillo et al. 2023]

Write A Comment