L aspettò che tutti i suoi compagni lasciassero l’aula, poi mi si avvicinò e mi chiese:
“Prof, quanto conta sapere il Latino per fare Lettere?”
Era una frase che suonava come un’ammissione di colpa, ma la rassicurai. All’università si riparte da zero, e poi lei era molto brava, non avrebbe avuto problemi. Quando le chiesi il perché di quella domanda mi disse che le stava balenando in testa quell’idea. Io sorrisi e cercai dentro di me i migliori consigli che potessi darle.
“Vorrei fare l’insegnante” mi confessò.
La cosa in un primo momento mi lusingò, perché mi illusi che tra me e lei fosse nato quel meccanismo di identificazione che talvolta si instaura tra discente e docente. Ma la vanità lasciò presto il posto al terrore. Dovetti ammettere ad L che non era la cosa più semplice del mondo in questo paese, ma che poteva conservare la speranza che la situazione potesse migliorare negli anni a venire. Le feci intendere che se si fosse impegnata abbastanza avrebbe potuto realizzare il suo sogno ed essere felice facendo ciò che le piaceva. Mi ringraziò per tutti i consigli ed andò via verso il suo weekend, mentre io mi misi in macchina per tornare nella mia città. Per tutto il viaggio non feci altro che pensare a quello che ci eravamo detti. Ci ho pensato e ripensato per mesi, in verità, fino ad oggi.
Quello che avrei voluto dirti, cara L, non c’entra nulla con la speranza. Bisogna saper scegliere in tempo, prendere le decisioni giuste, capire come farsi furbi. Nessuna scuola ha mai assunto qualcuno per le sue conoscenze o per la sua capacità di trasmettere qualcosa. È spesso una lotteria o una mera questione di denaro. La tua ossessione diventeranno i punteggi, in pratica il lavoro te lo dovrai comprare. Titoli e certificazioni, tutti soldi che benedirai quando ti ritroverai al sicuro dietro quella cattedra. Non come me.
Alimenterai il business delle università private che non ti insegneranno nulla ma ti daranno le carte giuste per poter dire che vali, agli occhi ciechi di un algoritmo senz’anima.
Ciò che non ti ho detto mesi fa, te lo dico ora: fatti furba L, bisogna pagare prima o poi, ed è meglio farlo in denaro che in dignità. Perché di dignità si tratta. La dignità che sentirai intaccata quando ti verrà confermato il ruolo di settimana in settimana, finché dalle graduatorie del Ministero non sarà nominato qualcuno che verrà al posto tuo. E intanto non avrai potuto nemmeno affittarti una camera perché non potrai dare garanzie a nessuno. E ogni giorno guarderai i tuoi studenti in faccia sapendo che potrebbe essere l’ultimo, che potresti non avere nemmeno il tempo per salutarli. E poi l’umiliazione più cocente arriverà quando qualcun altro raccoglierà i frutti del tuo lavoro, magari qualcuno che ha scelto in tempo il suo posto fisso.
Sii come loro, riempiti la bocca di parole vuote come onestà, morale, merito e in segreto alimenta quel sistema marcio alla radice con i tuoi soldi. Magari ascoltali, prendi l’abilitazione al sostegno, diventa come chi pur di procurarsi il cibo per tutta la vita sfrutta quella scappatoia, trattando quei ragazzi (che meriterebbero il meglio del meglio) come uno strumento per raggiungere il fine egoistico di una stabilità economica.
L’ultimo consiglio che ti do è quello più importante:
Se puoi, mia cara L, cambia idea. Non diventare insegnate, cercati un lavoro qualsiasi e vivi serena. Non provarci nemmeno, perché se ci provi ti innamori perdutamente di questo mestiere e dopo sono affari tuoi.
Perché è vero, quello dell’insegnante è il lavoro più bello del mondo.
Forse ti ritroverai come me a chilometri di distanza dai tuoi genitori e non potrai vederli invecchiare. Sarà difficile restare in contatto con i tuoi amici e le relazioni diventeranno una chimera. Ma quando sarai davanti ai tuoi ragazzi non sentirai il peso di niente. Loro saranno come creta e tu li dovrai aiutare a crescere, li vedrai sbagliare, piangere, gioire. Tu vivrai le loro vite perché vivrà in loro tutto ciò che gli hai trasmesso, al di là di Foscolo, Dante o Manzoni.
Vivrai dei momenti meravigliosi che da soli varranno il prezzo del biglietto. La volta in cui mi hai posto la tua domanda, ad esempio, è stata una delle soddisfazioni più grandi della mia carriera e ,allo stesso tempo, il momento in cui mi sono sentito più inadeguato in tutta la mia vita.
La verità è che io non so se valga la pena fare l’insegnante, non avrei potuto spiegarlo a te. L’unica misura che conosco è l’amore e per amore a volte si rinuncia a tante cose, come in quelle relazioni tossiche che ti strappano anche l’anima ma regalano di rado degli attimi di tale intensità che poi si ricordano per tutta la vita, nonostante tutto.
L, guardati dentro, solo tu puoi saperlo se ne vale la pena. Quanto a me, sto ancora a pensarci. Ho solo dieci anni in più di te e teoricamente sono ancora nei venti. E a vent’anni si è stupidi davvero.