Tutti noi abbiamo ricordi legati ai banchi di scuola. Per alcuni costituiscono i momenti più felici della propria vita, per altri anni da dimenticare, per altri ancora piacevoli specchi per riconoscersi o, al contrario, in cui capire quanto si cambia nel corso del tempo. Ma sono relativamente pochi coloro che hanno il privilegio di poter dire che quegli anni non sono mai passati. Essere insegnanti, in fondo, è un po’ come non invecchiare mai, è come vivere attraverso gli altri le passioni, gli amori, i drammi e le emozioni legati alla giovinezza. Ma al di sotto dei privilegi di cui sopra, c’è un iceberg di burocrazia, incertezze e precarietà che solo chi è dentro al mondo della scuola conosce e sulle quali il silenzio dei media, delle istituzioni e della politica ha creato una cortina di fumo.
Il numero dei docenti precari, infatti, è raddoppiato in meno di dieci anni passando dal 12% del 2015 al 24% del 2023 rispetto al totale degli insegnati. Per capirne le ragioni è necessario fare luce sulle modalità del sistema di reclutamento dei docenti nel nostro paese.
Come si diventa insegnante?
Ad oggi i canali principali sono essenzialmente tre, uno soltanto dei quali consente all’aspirante di ottenere il ruolo “a tempo indeterminato”.
Graduatorie provinciali
In prima istanza abbiamo le graduatorie provinciali (GaE e GPS). I docenti provvisti di titoli di studio adeguati alla classe di concorso per cui si candidano possono iscriversi ogni due anni alle suddette per ottenere incarichi annuali, fino al termine delle attività didattiche, o i cosiddetti “spezzoni” di incarico.
A determinare la posizione in graduatoria del singolo non sono soltanto i punteggi di laurea o il servizio prestato alle scuole, bensì anche i titoli secondari, ovvero tutte quelle certificazioni collaterali che di norma sono indici di caratura culturale.
“Messa a Disposizione”
Qualora anche le graduatorie d’istituto si esaurissero entra in gioco il secondo metodo di reclutamento, ovvero la “Messa a Disposizione” (MAD). In sostanza, per far fronte alla mancanza di personale, le scuole possono convocare coloro i quali hanno presentato questo tipo di domanda d’assunzione anche se sprovvisti dei titoli adeguati.
Il concorso
Veniamo alla terza ed ultima modalità, croce e delizia dei docenti precari, in quanto è l’unica che, in teoria, può conferire l’incarico di ruolo. È il famoso concorso, ordinario o straordinario che sia. Con una media di quattro anni fra l’uno e l’altro, ogni volta sono in centinaia di migliaia a presentare la loro candidatura e a sostenere le prove per uscire dal Limbo dell’incertezza. In teoria, si diceva, poiché per la prima volta il concorso docenti attualmente in fase di svolgimento non conferirà l’abilitazione, la quale potrà essere ottenuta soltanto dopo aver sostenuto un corso a pagamento. Questo unicum ha rappresentato un ulteriore fattore destabilizzante per chi oggi vuole insegnare e che abbiamo deciso di ascoltare.
Le nostre voci dalla cattedra sono di E.C e di D.P entrambe insegnanti precarie.
Quali sono state le vostre impressioni sulla prova scritta del concorso in atto?
D: Al netto di una mole di studio esagerata (i quesiti stando alle direttive del ministero riguardavano psicologia, pedagogia, inclusione, metodologia didattica, valutazione, tecnologie per l’apprendimento, inglese a livello B2 e normativa scolastica con focus sui documenti chiave [N.d.R.]) e quindi di un impegno da dedicare allo studio considerevole, le cinquanta domande proposte a risposta multipla erano semplici e superficiali, con due risposte tra le quali riflettere e due palesemente sbagliate. Pur avendo passato la prova è stato un’esperienza insoddisfacente e disorientante.
Parte della confusione deriva dal confronto con quanto è accaduto nel 2020. La prima prova di allora ha prodotto una percentuale di non idonei vicina all’80%, mentre in quella di quest’anno il rapporto tra promossi è bocciati è stata totalmente ribaltata. La differenza più immediata sta nel fatto che nel concorso 2024 la parte scritta è generica, ciò uguale per tutti gli aspiranti, mentre nel precedente ciascuna classe di concorso aveva in aggiunta delle domande specifiche sulle materie per le quali si concorreva. Abbiamo chiesto ad E. di dirci di più sul concorso precedente.
E: Le domande erano votate al nozionismo puro, fin troppo specifiche e talvolta con palesi ambiguità interpretative. Tant’è che il giorno in cui ho sostenuto la prova nessuno del mio gruppo è risultato idoneo. È stato presentato un ricorso, sono stati coinvolti esperti e docenti universitari, persino il professor Barbero si è pubblicamente espresso sulle domande per la classe di concorso di Storia e Filosofia sostenendo che nemmeno lui sarebbe stato in grado di rispondere. In ogni caso, il ricorso è stato rigettato mesi dopo, senza ulteriori spiegazioni.
Quali sono le ragioni alle base di due impostazioni così differenti?
E: Credo che le domande semplici sono state fatte ad arte per evitare ricorsi, rinviando la vera selezione all’orale. Anzi, forse anche prima. In molti casi i candidati saranno costretti a sostenere la prova fuori dalle proprie regioni di appartenenza e questo farà in modo che l’economia sarà il primo fattore discriminante. Chi potrà permettersi il viaggio e il pernottamento andrà a sostenere la prova, chi non potrà rinuncerà naturalmente. Se poi aggiungiamo che il concorso non è abilitante e consente l’accesso ad un corso a pagamento…
Abbiamo già parlato della compravendita dei titoli sulle nostre pagine ( leggi qui), qual è la vostra percezione di questo business?
D: Che ci si vada a comprare un titolo, una spesa più che un investimento, dato che alla fine di quest’anno i 24 CFU non saranno più sufficienti.
E: Ormai sono nel loop, non mi pongo nemmeno più il problema dei soldi spesi, soldi che non saranno mai recuperati. Inizio a pensare che siano modi per mettere in giro soldi più che nuovi contenuti. Ho conseguito il TFA e la metà delle nozioni del corso le conoscevo già, l’altra metà le ho approfondite per conto mio. C’è da dire poi che se tutti avranno modo di accedere a questi corsi sarà un po’ come se nessuno migliorasse davvero la sua posizione a livello di punteggi in graduatoria. Siamo macchine da soldi.
Quali sono state le difficoltà più grandi nell’inserimento in questo mondo?
D: Ho iniziato in novembre, il primo stipendio è arrivato a febbraio e sono stata anche fortunata perché per altri colleghi nella stessa condizione c’è stato da attendere più tempo. Non sono mai riuscita a lavorare dall’inizio alla fine dell’anno e questo influisce sulla continuità didattica: quando sono arrivata i ragazzi non avevano nemmeno gli strumenti per affrontare la materia. Mi sento dispiaciuta di non poter dare di più.
E: Il primo grande scoglio è la burocrazia. Molti aspiranti colleghi, anche brillanti, non hanno proprio il tempo materiale per capire come funziona, soprattutto se fanno altri mestieri, e quindi lasciano perdere. Il problema è che anche qui non c’è tempo. Pianificare una lezione che utilizzi le nuove tecniche di insegnamento è un lavoro davvero lungo e faticoso e non sempre si ha modo di preparale adeguatamente. È un peccato perché i ragazzi lo meriterebbero. Come meriterebbero degli insegnanti che li accompagnino lungo tutto il percorso di studi. Ma talvolta bisogna fare delle scelte. Per esempio, sento adesso la necessità di trasferirmi perché Milano non è una città facile, le spese non consentono una vita dignitosa. Io mi sono posta il dubbio se sia o meno la scelta giusta per i miei studenti, ma sembra ormai una lotta per la sopravvivenza in cui tutti paghiamo le spese.
La domanda sorge spontanea di fronte a tutto quello che ci siamo detti: chi ve lo fa fare? Perché continuate su questa strada nonostante tutto?
D: Mi viene in mente quello che diceva Lorca a proposito del duende. L’insegnate vero è quello che ha dentro questo daimon. Insegnare non è una missione, ma è qualcosa che ci rende vivi. I giovani ti riempiono l’anima. E poi questi ragazzi hanno bisogno di essere visti, in tutte le loro parti, ogni giorno. Non hanno bisogno di giudizi, anzi, bisogna proprio liberarli dal giudizio. A volte gli ultimi dieci minuti di lezione sarebbe bene impiegarli per parlare con loro, per capirli, per vedere come intendono le relazioni e il mondo. Hanno bisogno di sicurezze, ma siamo noi i primi a non averne.
E: Ci sono due motivazioni. La prima è personale. Raccontare è l’unica cosa che so fare, che mi diverte. La seconda è politica, perché credo fermamente che abbiamo il dovere di portare nella scuola cose ed energie nuove. Non bastano più le lezioni frontali, che purtroppo sono la metodologia principale della scuola italiana. Anche con quattro slide proiettate, una lezione di quel tipo resta tale. Non sono scoperte recenti quelle sull’importanza del gioco e del divertimento sull’apprendimento. Purtroppo però, le modalità concorsuali premiano determinati tipi di insegnati, quelli orientati al nozionismo. Ma la nozione specifica si può recuperare nella fase preparatoria della lezione, invece l’impianto metodologico non può e non deve essere improvvisato. I ragazzi lo meriterebbero, come meriterebbero una continuità.